9.11.04

Lettera a una pierre non ancora nata

MIA CARA, FORSE un giorno ci incontreremo. Per adesso, vorrei solo raccontarti qualcosa del mondo nel quale sceglierai di vivere: quello delle pierre. Un mondo nel quale sarà dura entrare ma in cui, se sei veramente sfortunata, potresti trovarti davvero.

Le pierre, devi sapere, sono piccole e fragili creature. Vengono scelte con un casting, detto colloquio di lavoro, da alcune megere - talune le chiamano mammane - che gestiscono l'agenzia di pubbliche relazioni. Delle candidate le mammane misurano con occhio clinico la lunghezza del garrese e le rotondità delle forme, perché sono donne di mondo e conoscono sia la stampa che i manager delle aziende che richiederanno i loro servigi. Invece, le aspiranti pierre affrontano il colloquio con lo spirito delle aspiranti vestali del tempio di Giocasta perché credono che stia per iniziare la fase mistica e sacerdotale della loro vita. Quanto si sbagliano, mia cara, quanto si sbagliano.

Le pierre guadagnano quanto potrebbe guadagnare uno stagista dell'Atm, se i tram li guidassero gli stagisti, e devono anche pagarsi da sole il "tailleurino scuro" e "l'abitino giusto" per la serata. Quello con il pantalone nero, la camicetta chiara, la sciarpa color pastello e le scarpine leggere perché nel trolley non ci si può mettere tropa roba. Tutto questo succede perché le pierre coltivavano un sogno nel loro piccolo cuore di studentesse di scienze della comunicazione. Volevano lavorare nell'ambiente fighissimo e shopping in rosa alla Bridget Jones, organizzando scoppiettanti feste chiamate conferenze, stampa sperando che tizi come Hugh Grant le notino e se le portino a letto. Pardon, le sposino.

Invece, le hanno subito messe alla catena, che le mammane chiamano ruolo "junior", a far rassegne stampa e tradurre comunicati dall'inglese. Hanno anche riletto shopping in rosa in lingua originale per vedere di migliorare la performance nell'idioma della perfida Albione, ma non ci hanno capito molto (strano, perché l'avevano già letto, ma certi libri si sa che passano via veloci e non lasciano poi tanto il segno), e si sono convinte che l'unica cosa intelligente che potevano fare era aprire un blog. Tante giovani pierre, avevano letto su Grazia, lo fanno.

Ma non è successo, perché in realtà le pierre, a parte il desiderio mai confessato di possedere Hugh Grant, in realtà sono il corpo speciale delle impiegate modello. Sono le paracadutiste dei lavori di segreteria, i marines della comunicazione, i Navy Seals del terziario. Così, vittime del genio dell'ottimizzazione, quelle che non sono state brutalmente licenziate perché sorprese a tenere un blog hanno lentamente salito i gradini della via crucis professionale, conquistandosi il diritto ad interagire di persona con i giornalisti.

Ok - si sono dette la prima volta che hanno incontrato i temuti dei della comunicazione pret-à-porter - questi si vestono come idioti e non ce n'è uno che somigli a Hugh Grant. Perciò, lisciandosi un po' nervosamente la gonna plissettata, hanno preso l'appunto mentale di non esagerare con i vestiti per non far fare la figuraccia ai giornalisti (care, piccole, idealiste e materne pierre). Poi si sono lette tutto d'un fiato quattro capitoli di Shopping in New York nell'edizione francese. Per prepararsi al primo viaggio di lavoro, of course. Destinazione, inutile dirlo, Parigi.

Era il sogno di una vita, il posto dove andare per la prima volta con l'uomo giusto, quello che ti sorprende e ti offre un week-end nella Ville Lumiére, chiamandolo fin-de-la-semàn perché è forse anche un po' più fico di Hugh Grant, con quel pizzetto sbarazzino. Invece, si sono presentati all'area imbarchi di Malpensa tre tizi - i giornalisti da portare alla conferenza - che sono roba da mettersi subito a piangere. La pierre ha fatto buon viso a cattivo gioco (la nonna sarebbe stata orgogliosa di lei e le avrebbe anche comprato quel dolcetto che da bambine le piaceva tanto) e all'improvviso pareva stesse di nuovo filando tutto liscio. Tutti avevano il biglietto aereo e la carta d'identità, in albergo la prenotazione era a posto, le camere decenti, la cena serena - anche se tutti stavano lì un po' rigidi - e dopo un bicchierino al bar da mettere in nota spese, tutti a nanna presto.

Poi, la conferenza stampa in un salone bruttissimo, a cinque gradi sotto zero di un non meglio identificato "centro convegni" di una sudicia Parigi invernale. Lei è stata tormentata fin dalla porta dell'hotel dalla pioggia, che le ha già inzaccherato la gonna e infradiciato i piedi dentro le scarpette. Nella calca di giornalisti di almeno ventotto nazionalità diverse, ognuno scortato da una selezionata pierre dell'agenzia della sua country, è successo il patatrac. Ma la cosa grave è che è successo proprio sotto gli occhi di un manipolo di stronzette dell'agenzia interna, la casa madre internazionale dell'agenzia italiana della piccola pierre.

Uno dei tre deficienti, tizi che la pierre all'improvviso ha iniziato a odiare in maniera viscerale, si è alzato e ha fatto una domanda che in realtà era una filippica, una sparata assolutamente fuori luogo, in un inglese improvvisato, senza neanche presentarsi. Riuscendo così a dimostrare di non aver capito niente e neanche di aver letto i comunicati che lei aveva tradotto la sera prima sul portatile dell'agenzia stampandoli alle sette di mattina giù al centro stampa dell'hotel. Il silenzio e le occhiate gelide delle stronzette dell'agenzia interna le hanno tolto almeno un battito cardiaco ogni tre sotto il golfino blu scuro e la giacchetta aggiustata per stare bene sulla gonna plissettata. Altre scene minori di panico durante le interviste one-to-one (possibile che gli dei della comunicazione, i giornalisti, possano essere tanto bestie, si chiedeva con gli occhi bassi durante lo stillicidio di domande fuori luogo e sbiascicate) e la pierre è tornata dal suo primo viaggio agghiacciata e traumatizzata. Dopo, non sarà più la stessa. E, soprattutto, non si fiderà mai più di un giornalista.

Anche se, bisogna ammetterlo, a furia di leggere i romanzi della serie shopping in vari colori e in varie città, e sarà un po' perché al posto di Hugh Grant ha trovato questo tizio un po' strano che studia ancora economia e commercio ma quando si vedono a cena (paga lei, ha avuto l'aumento di 36 euro al mese), le cose sono meno tristi e quindi il suo lato romantico ha ripreso quota. Insomma, se il giornalista che non aveva mai incontrato prima invece compare come per incanto con la barba fatta ed è appena passabile, si veste come i suoi vecchi compagni di scuola, magari come quello alto e simpatico che un po' le piaceva e giocava tanto bene a pallone, lei quasi quasi si lascia un po' andare e si fida.

Mal gliene incoglie. Volete indovinare chi sarà il prossimo, a Barcellona o a Berlino, a Londra o a New York, ad alzarsi e fare una clamorosa sparata, travestita da domanda, totalmente fuori luogo e in un inglese improvvisamente abborracciato? Dimostrando non solo di non aver capito un tubo di quello di cui si sta parlando, ma soprattutto che la selezione fatta dall'agenzia locale e quindi, in ultima analisi, dalla povera pierre, era pessima secondo l'inflessibile metro di valutazione delle efficientissime e stronzissime replicanti dell'agenzia interna.

E' dura la vita delle pierre, sono creature fragili, idealiste, andrebbero tutelate. Ma tu, cara, se lo vuoi, puoi ancora salvarti. Iscriviti a chimica, non a scienze della comunicazione. Da quelle parti di Hugh Grant non ne passano, è vero, e la matematica è una gran palla (anche se a scuola ti veniva bene). Però sotto il camice di laboratorio puoi tenere gonne e golfini di tutti i tipi e non si sciupano neanche. Il camice, infatti, è un po' largo e viene giù dritto, senza neppure segnare troppo le forme. Poi chissà, mio cugino ha studiato proprio chimica e lui è un bel figliolo, alto, moro, col pizzetto e i capelli riccioli. Ha vent'anni, gioca a basket e quando va al cinema con una ragazza paga sempre lui. O almeno, così mi dice e credo di potermi fidare. Fidati anche tu. Non è mai stato a Parigi e se dovesse capitare ti garantisco che glielo dico io di invitarti per un fin-de-la-semàn dai i cugini d'Oltralpe. Dai, non lasciarti tentare dai vari Shopping, ce la puoi fare...

4 commenti:

Anonimo ha detto...

non mi e' chiaro se tu indossavi la gonna plisse' - che forse non e' il tuo genere ;) - o avevi le tasche piene di caramelle.

;) pm10

Anonimo ha detto...

A me la cosa che sconvolge di quelle ragazze lì (e a Milano sono migliaia, un esercito) è l'enorme determinazione che mostrano all'esterno. Sono delle macchine da guerra, cazzo, sembrano dire: non mi fermerete mai. Preparatissime, nei casi più fortunati, aggressive e lanciate. Poi una volta ti capita di incocciarle nei corridoi dell'agenzia quando è tardi e non c'è nessuno. E ti accorgi che hanno gli occhi lucidi o stanno piangendo.

macubu

Antonio ha detto...

Severgnini una volta ha scritto che l'acronimo "pr" sta in realtà per "piccole rottweiler"

Anonimo ha detto...

cosa vi fa pensare che siano solo loro cosi agguerrite? che non siano in fondo solo la punta dell'iceberg di come le donne vengono sottovalutate costantemente nel mondo del lavoro?
vabbe' non vorrei travisare i concetti espressi a seguito del mio stato di " gia'morsa dalla tarantola" il mattino presto.
pm10