13.1.13

Art and Craft of American Psycho

C'È UNA DIFFERENZA abbastanza sostanziale tra quello che ci piace e quello che è ben fatto. E tra quello che è ben fatto e quello che va bene per noi. Mi spiego. Stavo guardando American Psycho, il film del 2000 di Mark Harron con Christian Bale tratto dal romanzo di  Bret Easton Ellis del 1991 sugli anni Ottanta degli yuppie di Wall Street.

 Bret Easton Ellis mi spaventa e mi piace abbastanza relativamente: se anziché citarlo uno lo legge trova nelle sue pagine cose abbastanza disturbanti e quasi manieriste per quanto sono torbide. Sono scritte molto bene, ma vanno bene? Per me mica tanto: non mi piace, né da un punto di vista morale (la mia morale, non l'etica di un gruppo) né dal punto di vista sensoriale. Le emozioni che genera non sono sane per me, secondo me, così come non sarebbe sano guardare per me uno snuff movie.

Invece, il film si muove su un piano diverso: utilizza l'estetica per addomesticare le emozioni e trasferirle in una dimensione lacaniana da sogno. Non questo film in particolare, tutti i film. E invece questo è fatto certamente bene, conta su una ottima interpretazione di Christian Bale che ha una componente di follia sufficientemente variegata da fornire un catalogo di emozioni piuttosto ampio. Stupisce come può stupire la ricchezza di dettagli e di inventiva di una tavola di un fumetto o una stampa ottocentesca. Però.

Devo dirlo? Mi disturba. E non voglio censurarlo, va benissimo guardarlo, figuriamoci. Come leggersi il romanzo. È che a me sembra un po' in malafede, una sorta di provocazione gratuita per fare spettacolo. Anche se la sirena sottostante, quella di New York, è fenomenale!

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