31.1.11

Linkiesta.it

COME PREVISTO, È partita oggi Linkiesta.it, sito di informazione costruito con il criterio di una start-up, con tecnologie "light" e in versione beta, in attesa che arrivi a primavera l'applicazione per iPad e la versione "hard". In bocca al lupo!

30.1.11

Have a nice tea party!

GARRY B. TRUDEAU ci dona una nuova tavola domenicale di Doonesbury

28.1.11

Challenger OV-099 (1983-1986)

VENTICINQUE ANNI FA esplodeva 73 secondi dopo il decollo la navetta Challenger mentre si alzava dalla base di Cape Canaveral per compiere la sua decima missione, la STS-51-L. Nell'esplosione dello shuttle morivano i sette astronauti, tra i quali due civili. Una era Christa McAuliffe, insegnante, selezionata fra 11mila candidati per un concorso di "maestra nello spazio" voluto dall'allora presidente Ronal Reagan.


Non si è trattato del primo incidente mortale nel volo spaziale, ma è quello che ha più duramente colpito l'immaginario del pubblico, soprattutto negli Usa. La fotografia dello shuttle mentre esplode, ripreso quando diventa una morbida nuvola a contrasto del cielo terso della Florida, è una delle più note del Ventesimo secolo. Le riprese televisive in diretta hanno mostrato a milioni di atterriti spettatori che anche la "prova di forza" delle più potenti fra le tecnologie umane può fallire improvvisamente e in maniera misera oltre che devastante.

Da quel giorno, per una serie di motivi concomitanti fra cui anche questo incidente, le cose non sono state più le stesse per i viaggi spaziali. Il colpo di grazia è arrivato nel 2003 con l'incidente in fase di rientro della missione STS-107 della Columbia (OV-102). Nel 2011 il ciclo delle missioni con le navette shuttle si concluderà definitivamente. Forse. Perché già l'anno scorso doveva succedere, ma la prossima generazione tarda e Barack Obama preferisce dare ancora un po' di corda alle vecchie navette spaziali.

Grazie per la segnalazione sul programma spaziale nei commenti!

Come in galera: un libro alla settimana

QUEST'ANNO HO DECISO che cerco di tenere la media di almeno un libro alla settimana. Speriamo di farcela, per adesso ci si sta facendo. Vi tengo aggiornati.

Sto anche pensando ad alternative ad Anobii, che mi ha parecchio stancato, se non fosse che l'app per iPhone è carina e (quando funziona) molto utile. Vedremo anche qui.

27.1.11

Memorie dell'Eternauta (2010)

UNO SI CHIEDE: cosa si potrebbe mettere dentro un libro di 192 pagine che racconta la storia di un fumetto? La risposta è che dipende dal fumetto e da chi ne scrive. Se si tratta dell'Eternauta, la historieta (come le chiamano in Sudamerica) che nel 1957 operò un piccolo, grande cambiamento, molte cose. È chiamato anche il fumetto "desaparecido", sia perché i problemi legati ai diritti ne hanno limitato la pubblicazione, sia perché il suo sceneggiatore, Héctor German Oesterheld, argentino, nel 1977 è effettivamente stato rapito dal regime di Buenos Aires dell'epoca e ucciso, senza che mai venisse trovato il suo corpo o vi fosse la notizia ufficiale dell'assassinio: desaparecido.

Fernando Ariel Garcìa e Hernan Ostuni raccontano la storia dell'Eternauta, la storia di HGO e la storia dell'Argentina del secondo dopoguerra. Sono tutte e tre profondamente legate: HGO è stato uno dei più importanti e fragili attivisti, l'Eternauta un simbolo per più di una generazione e non solo in Argentina, il dramma del popolo sudamericano qualcosa che abbiamo completamente rimosso dalle nostre coscienze, se mai ne abbiamo avuto una qualche sensazione.

Eppure, nell'Eternauta c'è la concezione stessa di "eroe collettivo", la metafora dell'invasione aliena improvvisa, silenziosa, non dichiarata, con la nevicata luminescente e mortale sopra Buenos Aires, i livelli stratificati di alieni che portano agli Ellos, "Essi", creature pronte a cancellare tutto in ragione del proprio tornaconto, metafora non tanto del corrotto regime militare e politico argentino, quanto delle multinazionali nordamericane e dello sfruttamento sistematico e cieco di tutto il Sudamerica, Argentina in testa.

La storia dell'Eternauta, le sue memorie, si sovrappongono a quelle dell'imperialismo, a quelle di una concezione del mondo che ha fatto dell'Argentina dei colonnelli un esempio non lontano da altre modalità di affermazione del potere economico. Il libro è ricco, completo, militante. Scritto anni fa, Memorie dell'Eternauta ha segnato un'epoca: poi è diventato materia di studio, ma ancora si è aggiornato e la 001Edizioni lo pubblica pochi mesi fa in italiano a 18 euro. I contatti dell'Eternauta con l'Italia sono tanti: a partire dall'omonima testata, dal rapporto con Linus ed Oreste del Buono, dalla tradizione del fumetto italiano e di quello latinoamericano delle historietas, con Hugo Pratt a fare, per un periodo, da ponte fra i due mondi.

Il dramma dell'Argentina. Ricordate? Un mondiale di calcio nel '78 per coprire la violenza del regime dei colonnelli; una improbabile guerra comunque sanguinosa con la corona britannica per un fazzoletto di terra abitato da pochi pastori; la sciagura del governo Menem e il crollo dell'economia, bond inclusi: una forbice tra ricchi e poveri che si allarga e che minaccia di essere esempio per gli altri popoli nel mondo.

Il fumetto come via popolare per il racconto, la denuncia, la resistenza. Come quel muro adesso ripitturato, che si intravede dai vagoni della metropolitana sotto il ponte General Paz: fino al 2002 c'era un murales, con l'Eternauta, Juan Salvo (da noi diventa Juan Galvez, che cammina verso di noi, la scritta "Resiste", il tratto evocativo e potente del primo e migliore disegnatore, Francisco Solano Lopez.



La storia dell'Eternauta-fumetto è dura, spietata, a tratti profetica. Con il campo di concentramento nello stadio, le vie deserte nella calma della devastatazione portata dagli alieni, gli uomini trasformati in soldati-robot, così come i Mano, quelli che sembrano essere per un momento i capi dell'invasione, che si scopre essere essi stessi tenuti sotto controllo dagli Ellos con l'innesto di una ghiandola della paura, pronta a ucciderli se si ribellano.

Ma sopra tutto, l'immagine di quest'uomo reso duro dal dolore, dalla sconfitta, dalla responsabilità di una resistenza di cui è ultimo baluardo: l'Eternauta sconfina tra le pieghe dello spazio e del tempo, rimanendo a camminare per lungo tempo coperto da un'improvvisato scafandro che gli permette di vedere senza essere toccato l'orrore di un mondo sommerso dalla silenziosa e mortale nevicata che si poggia su tutto.

La forza pazzesca del bianco e nero di Francisco Solano Lopez che racconta il quotidiano improvvisamente stravolto da una catastrofe all'apparenza naturale, poi mortale, poi aliena, comunque silenziosa. Simboli della vita di tutti i giorni che si trasformano in contenitori dell'orrore, stravolti e mutati di senso. I miei ricordi: l'ho letto da piccolo, piccolissimo, eppure affascinato dalla visione di quel sogno quasi nordamericano di una classe media, delle villette terra-tetto di una Buenos Aires in cui si potesse ancora sperare di vivere una vita tranquilla, con degli hobby e del tempo libero, una pensione serena, un viale ordinato con delle villette pulite, all'improvviso cancellato prima simbolicamente dal fumetto e poi tragicamente dalla realtà della storia. L'Eternauta ha intuito il terribile destino dell'Argentina, è stato profetico. È cominciato tutto sessant'anni fa, non è ancora finito. In qualche modo, continua anche da noi.

Ecco, questo si può mettere in un libro che racconta la storia di un fumetto.

26.1.11

Cyborg 2 (1993), Hackers (1995), Salt (2010)

ANGELINA JOLIE NON ha fatto solo Salt, l'ultimo polpettone thriller e amarognolo che sorprende, scopiazza (soprattutto da Alias) e lascia ammaliati dalla quantità di plastica che il cinema è in grado di sostituire alla realtà. Invece, Angelina Jolie ha fatto un sacco di altre cose prima, fra cui un paio di Tomb Raider (che è tutto dire, lo so!). Ma ha anche avuto degli esordi che vale la pena di riscoprire, perlomeno per vedere com'era prima che la plastica se la mangiasse viva, coprendo persino parte delle miniature e dei tatuaggi che la affollano.

Cyborg 2 (seconda parte di una allucinante trilogia che ridefinisce in peggio l'idea stessa di "B" movie) era il suo vero film d'esordio. La fantasia malata del regista (un fortunatamente dimenticato Michael Schroeder) cerca di superare l'altrettanto atroce Cyborg 1 con Jean Claude van Damme. Me li sono presi entrambi, più anche il terzo capitolo della saga, nel quale anche i caratteristi sono scomparsi nel niente. La Jolie nel secondo capitolo della saga recita se stessa che recita se stessa che recita, più o meno, la stessa parte di donna "tosta" da sempre. Il personaggio però qui si sovrappone alle caratteristiche fisiche di allora che sorprendono: il fisico è più esile e sgraziato rispetto a oggi, anche se sicuramente molto atletico, ma anche singolarmente fragile. Caratteristica quest'ultima che a dire il vero ricomparirà anche in Salt: polsi fini e avambracci lunghi, sottili. Oggi però cambia l'impostazione fisica e non solo a causa dell'età: Angelina Jolie viene "corretta" vent'anni dopo con palestra, ritocchi estetici, vestiti ad hoc. C'è studio e ci sono investimenti faticosi, oltre che predisposizione.

In Cyborg 2 Angelina Jolie (che non ama questo suo esordio sul grande schermo e preferisce non parlarne) fa in realtà da spalla a un buon Elias Koteas, attore sottoutilizzato ma di buona qualità non solo fisica, e singolarmente somigliante al più noto Christopher Meloni di Law & Order: Special Victims Unit (il detective Elliott Stabler). Stesso ruolo da "compagna dell'eroe" anche per Hackers, opera più interessante come spaccato sociale sul mondo degli adolescenti che usano il computer in modo "pericoloso" e straordinaria testimonianza dell'immaginario informatico hollywoodiano. Ben documentato in realtà per gli aspetti "etnografici", anche se la storia è quella che mio padre definirebbe "la solita americanata", Hackers ruota attorno a Dade "Zero Cool" Murphy (Jonny Lee Miller, noto soprattutto per Trainspotting) e al suo complesso da eroe solitario. Zero Cool sconfigge l'hacker cattivo della multinazionale, redime il suo passato, coccola gli amici e soprattutto conquista la bella ragazza, cioè un'Angelina Jolie ancora più "dark" e dedita all'uso del computer anziché dei muscoli.

Il fascino di Zero Cool è talmente forte che non solo fa innamorare l'hackeressa, ma anche la stessa Jolie, che si sposa l'attore Jonny Lee Miller: il matrimonio durerà quattro anni e marcherà una fase della carriera e della vita della Jolie, anzi segnerà l'inizio della fine della sua fase giovanile. Angelina Jolie Voight (questo il suo nome completo) farà altri film "secondari", continuerà a perseguire una carriera da attrice indipendente nonostante il pedegree hollywoodiano di tutto rispetto: il padre è Jon Voight, la madre Marcheline Bertrand, lo zio il cantautore Chip Taylor, il fratello è l'attore James Haven e i suoi padrini (in senso religioso, del battesimo) sono Jacqueline Bisset e Maximilian Schell.

Hackers, a differenza di Cyborg 2, si fa guardare e a tratti è anche divertente, sicuramente infantile. La "scena" newyorkese dei giovani geni è comunque simpatica: i ragazzi frequentano uno dei due licei per fenomeni della matematica, la Stuyvesant High School (anche se nella finzione viene chiamata Stanton High School) e si respira un'aria come in WarGames, con Matthew Broderick, di un decennio prima (per la precisione il 1983).

Riguardando questi due vecchi film subito dopo quest'ultima fatica di Angelina Jolie, cosa s'impara di più su questa attrice che è riuscita, sia nella vita professionale che in quella personale (oggi si parla delle adozioni e di Brad Pitt rubato a Jennifer Aniston, ma ieri c'era in pista anche il secondo ex marito, il folle Billy Bob Thornton), a fare rumore, molto rumore? C'è la stoffa, la qualità umana e professionale, il talento? Angelina Jolie è probabilmente plastica pura e pure molto tatuata, ma il nocciolo di verità congelato venti e più anni fa rimane. Non tantissima cosa, ma comunque interessante, non banale: è sicuro se non altro che ardeva con intensità, allora come adesso. Lei continua a recitare sempre il solito personaggio, sia nel lavoro che per un periodo nella vita, in cui ho la sensazione entro certi limiti creda davvero. Lei si sente sul serio un'eroina dark, capace di vivere al massimo, divisa tra una borghesissima vita familiare e lo stardom più estremo. E i suoi polsi, così fini, e gli avambracci, così lunghi e sottili, qualcosa vorranno pur dire.

Ps: se cercate su internet una foto di Angelina Jolie in cui non sembri un oggetto sessuale di plastica, buona fortuna. Al massimo la trovate su Wikipedia. Ma proprio al massimo, eh.

25.1.11

Più leggero dell'aria (2010)

L'IDEA È SEMPLICE: il dirigibile Italia, il comandante Umberto Nobile, la missione per conquistare il Polo Nord, era il 1928. E poi, Milano, oggi. Un giovane assistente di antropologia all'università, un maturo docente disilluso, il mistero di un padre scomparso nel passato e la distanza da un padre nel presente. Lo scontro. L'amore. Il viaggio. Il mistero.

Fabio Guarnaccia, che è mio personale amico da anni, ha scritto un romanzo, breve ma denso e delizioso come certi succhi concentrati. La storia procede su più binari, potrebbe essere Wu Ming, potrebbe essere Giuseppe Genna: intellettuale ma anche avventura, colto ma anche eccitante. L'editore è piccolo, la distribuzione latita, l'edizione non è perfetta rispetto ai libri di plastica a cui ci hanno abituati Mondadori e Feltrinelli. Ma vale la pena. Dentro, la storia c'è ed è genuina, ruspante, quasi ingenua ma sempre appassionata. Io fossi voi lo comprerei.

24.1.11

Pazza idea - Dietro c'è sempre la mamma

HO UNA TEORIA sulla "malattia" (così la definiva la ex moglie Veronica Lario) del premier. Quella che si potrebbe definire una "escalation erotica", per così dire, di Silvio Berlusconi pare che sia quella di un uomo al quale è saltato l'ultimo freno inibitorio. E questo prima della separazione, evidentemente, che ne è un effetto e non la causa.

Secondo me al premier il fermo di sicurezza è saltato con la morte nel 2008 della madre, la signora Rosa Bossi in Berlusconi. In quel momento se n'è andato anche il suo Über-Ich, il suo super-io. E cioè l'istanza intrapsichica che sovrintende all'interiorizzazione dei codici di comportamento: divieti, ingiunzioni, schemi di valore come giusto-sbagliato, buono-cattivo, bene-male. La conseguenza è stata l'esplosione oramai incontrollata di comportamenti inappropriati, per essere gentili, che stanno a quanto pare (ma con Berlusconi non si può mai dire) affogando definitivamente l'uomo e il politico.

Che ne pensate, è plausibile? Se fosse così, sarebbe definitivamente una storia così italiana...

La cosa si fa affollata

DOPO TANTO PARLARE che il futuro dell'informazione sarebbe stato internet, sia web che apps, adesso che sta succedendo sembra quasi che ci siamo distratti tutti quanti. Invece succede. E alla svelta: in Italia siamo al battesimo della terza testata di quello che definisco "web puro", cioè giornale online senza controparte cartacea. Si tratta di Linkiesta.it (nome un po' sfortunato) di Jacopo Tondelli e Jacopo Barigazzi (tutti giovani, creativi e under 30/40), che aprirà a quanto pare il 31 gennaio.

Linkiesta segue le numerose partenze del 2010, tra le quali spiccano IlPost.it di Luca Sofri e Lettera43.it di Paolo Madron. I giornali di carta cercano di reagire, negli Usa, nel resto del mondo e pure in Italia. Al Corriere la direzione di Ferruccio de Bortoli è in affanno perché, tra le altre cose, cerca di ottenere una ripartenza su Internet che coinvolga in maniera più complessiva la redazione. Il Corriere, a quel che mi è dato di capire, fa muro, ma le solite voci interne e anonime poi commentando si lasciano scappare che fdb ha ragione, che è l'unica strada, che addirittura il giornale si potrebbe fare con la metà dei grafici e dei giornalisti senza neanche andare in affanno, che il New York Times adesso fa le riunioni per il quotidiano come se fosse un sito web (si punta a cosa mettere online tra due ore, le cose migliori a fine giornata si raccolgono e andranno in pagina per domani) e tutte le altre, solite cose che si dicono off the record.

La sensazione che il "blocco corporativistico" della mia categoria e di quelle collegate (grafici, assistenti di redazione etc) ci sia è forte, confortata anche da vecchie conversazioni con sindacalisti del settore che mi dicevano, sempre in camera caritatis: guarda che il problema sono quelle tre o quattro mega testate super privilegiate come Corriere, Repubblica, Sole, Rai, che hanno contratti fantascientifici e tengono bloccata tutta la categoria, fatta di peones, precari e freelance". Dall'altro lato, sul fronte degli editori, ci sono quasi quindici anni di progressivo logoramento delle relazioni industriali per via di manager affamati di soldi e risultati, alieni al mercato editoriale come prassi e come cultura, soggiogati nella maggior parte dei casi a interessi economici altrui e politici. Mark Twain dopotutto ci aveva avvertito su che razza di bestiolone fossero gli editori.

Così, io sono a corto di opinioni: i tempi sono molto interessanti ma ancora siamo poco attenti, mi pare. Deve succedere qualcosa di spettacolare, secondo me. Qualche mega-testata "intoccabile" che, improvvisa, affonda, ad esempio. Succederà. Succederà?

(disclaimer: ogni tanto in amicizia et amor dei scrivo per IlPost. Così, tanto per dirvelo).

23.1.11

Mr. Harris?

GARRY B. TRUDEAU con Doonesbury. Dopotutto, oggi è domenica.

17.1.11

Steve Jobs, Apple e tutto il resto

SONO ANNI CHE aspetto una notizia che fortunatamente non arriva. Ma ogni volta un brivido, ci si va sempre più vicini. Nell'agosto del 2004 ero a San Francisco, camminavo lungo l'Embarcadero, al Ferry Plaza, e l'occhio mi cadde su un distributore di giornali a moneta. Il titolo tirato a tutta pagina del San Francisco Chronicle era su Steve Jobs, che con una email annunciva ai dipendenti di Apple e al mondo intero di essere ammalato di cancro. Anzi, di essere nel letto di un'ospedale, operato e sopravvissuto a una malattia che tutti davano per mortale e che invece mortale non era.

Avanti veloce: gennaio 2009. Nei due anni precedenti avevo visto e rivisto Steve Jobs a San Francisco e a Parigi, raccontando la storia della sua azienda e dei suoi prodotti. Ogni due o tre mesi un evento, una conferenza stampa, una presentazione al Moscone Center, un incontro alla Concorde di Parigi. E Jobs sembrava ripiegarsi su se stesso, quasi scomparire, di una magrezza, di un pallore, di una lentezza impressionanti, sempre più stanco anche durante presentazioni di un'ora scarsa che solitamente cavalcava con energia e quasi aggressività. Poi l'annuncio: quello che sembrava un "bug", una malattia leggera e fastidiosa che aveva provocato una sensibile perdita di peso, era in realtà qualcosa di più grave. Richiedeva infatti un trapianto di fegato e arrivederci a tutti, sei mesi di riposo. Altri dubbi, altri momenti di paura per l'azienda, per gli azionisti, per il mondo di appassionati di questo strano imprenditore che sembra una rockstar per le passioni che sa suscitare nel suo pubblico.

Poi il ritorno, una nuova stagione da leoni, prodotti inauditi lanciati su un mercato sempre più strabiliato dalle capacità di quello che è stato definito il più clamoroso secondo atto della storia. Apple ha rivoluzionato più volte il mercato, Steve Jobs ha saputo fare quello che forse nessun altro ha mai fatto in questo settore, l'effetto è sorprendente anche solo a pensarci. Addirittura, tanta è stata l'abitudine allo stupore che pubblico e stampa hanno cominciato a criticare Apple per partito preso, per eccesso di successo (che non rende simpatico nessuno), per semplice desiderio di stupore frustrato.

Adesso arriva un'altra volta la notizia: un'email per dire che le cose non vanno bene, bisogna tornare a curarsi, altri si occuperanno dell'azienda nella routine quotidiana. Ci siamo? Forse, sospirano alcuni, come cardinali menagrami. Forse. O forse no.

Essere giornalista "generalista" e contemporaneamente "specializzato" su Apple - dieci anni di Macitynet, il portentoso sito dedicato al mondo Apple, così come molti siti che si occupano di Pc sono in realtà (e inconsapevolmente) dedicati al mondo Microsoft - mi hanno trascinato in un incredibile corsa sulle montagne russe. Su quell'onda che deve essere cavalcata, e che è l'emozione stessa alla base del desiderio di cavalcarla, come una volta ha indirettamente detto anche Steve Jobs, alla fine di un suo keynote in un momento particolarmente difficile. Essere il giornalista "esperto" è stato e sarà ancora difficile: l'eccesso di conoscenza viene preso con sospetto da molti, per i quali si diventa il "fan di Apple", quello che scrive a comando, quello che chissà quanti Mac avrà a casa, quello che "Evviva Apple". E questo in un mondo in cui la realtà è molto diversa da come sembra: passano per "editorialisti della sera" quelli che elargiscono le loro opinioni su Apple e sui colleghi giornalisti sulla base di umori ghiandolari e di calcoli (stasera attacco, stasera lodo, stasera attacco, stasera lodo) che niente hanno a che fare con i due criteri che dovrebbero invece contare: raccontare quel che si vede e l'esperienza che si è accumulata le volte precedenti. Se non altro per evitare gli sfondoni gratuiti e le crasse imprecisioni.

Ma tant'è. Che cos'è per me Steve Jobs, invece? Ho avuto l'avventura di incontrarlo, di tradurre in italiano un suo discorso poi diventato famoso, di fargli qualche domanda e di studiarne il comportamento per cercare di capire più in profondità un uomo non semplice, a tratti enigmatico, e raccontarlo ai lettori per i quali di volta in volta scrivevo. Non ho altri interessi, né azioni di questa o di nessun'altra azienda. Mi sento invece un giornalista di quelli che una volta seguivano il Cremlino o il Vaticano: cremlinologo o vaticanista. Una specie di "redattore specializzato", secondo la dizione del contratto giornalistico. E al vaticanista del giornale ateo si è sempre rimproverata un'eccessiva simpatia per il Papa, mentre al cremlinologo del giornale filoamericano si è sempre rimproverata un'eccessiva simpatia per il segretario del Pcus. Già, ma perché dirlo ai tanti editorialisti digitali che nella vita fanno poi altro di mestiere? Al bar un'opinione l'abbiamo tutti, alcuni anche in buon italiano, si può perciò continuare come prima.

Quando ho iniziato a usare prodotti Apple, il Mac, in realtà si chiamava ancora Macintosh ed eravamo alla fine degli anni Ottanta. Ma Steve Jobs non c'era già più e ho passato quasi dieci anni a usare prodotti di un'azienda guidata da altri manager con altre storie (e oggettivamente risultati molto differenti) da quella di oggi. Quando invece ho iniziato a occuparmi professionalmente di Apple, nel primo decennio del nuovo millennio, Steve Jobs era già rientrato da tre anni e qualche mese: non ho mai "coperto" giornalisticamente l'azienda con un diverso Ceo.

Dal punto di vista professionale, le cose successe finora sono state parecchio strane. È stato come fare il giornalista generalista che segue per passione anche uno sport minore come il Curling, ad esempio, oltre ad occuparsi di economia e politica estera nei grandi giornali come lavoro principale. Poi, un giorno, all'improvviso il Curling esplode e una passione privata diventa un'opportunità professionale entusiasmante. In prima pagina a scrivere di Curling, che tutti gli altri ignorano, facendo pure gli scoop. Le critiche e gli attacchi però non mancano. Critiche positive, critiche da cui imparare, certo, ma anche critiche in malafede o solo superficiali e facilone.

Adesso, da oggi, comincia una nuova fase. Potrebbe essere la sera prima una svolta drammatica, oppure un'oscillazione banale in quel ciclo spiazzante e molto personale che riguarda da più di un lustro la salute di Steve Jobs e l'affetto la sua famiglia. Non lo so. Ci sono molte cose che si possono scrivere in questo momento, senza tradire il legittimo desiderio di sapere dell'opinione pubblica, ma con un minimo di garbo. Sono sicuro che capirete, e questa potrebbe quasi essere la lente attraverso la quale leggere quel che sta succedendo, per capire dove finisce la notizia e dove inizia qualcosa d'altro.

Scusate lo sfogo personale, mescolato alla storia di un'altro uomo. Spero che aiuti però a farsi un'idea appena appena un po' migliore di quel che succede intorno a noi.

16.1.11

The continuing tweets of Roland Hedley

COME OGNI DOMENICA, Garry B. Trudeau con Doonesbury. Intanto mi è arrivato il libro dei 40 anni di D. ME-RA-VI-GLIO-SO.

15.1.11

Buon compleanno e sti cazzi

OGGI WIKIPEDIA COMPIE 10 anni. L'ho anche scritto su Nova24 uscito ieri (per lo sciopero al Sole 24 Ore era saltato il quotidiano di giovedì). E quelli di Wikipedia allora fanno il banner in tutte le pagine per dire che compiono gli anni. Prima avevano fatto il banner per ringraziare di aver raccolto ben 16 milioni di dollari in tutto il mondo con la lettera aperta del fondatore, Jimmy Wales. E prima ancora, un mese e spiccioli di lacrimevoli richieste di soldi (scaricabili come 5 per mille da noi, visto che Wikimedia è dentro una fondazione) anche queste sparate come banner a tutta pagina.

Insomma, adesso basta però. Sennò fate una Wikipedia su abbonamento e senza pubblicità, no?

13.1.11

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (2010)

DICONO CHE WOODY Allen sia uscito dal suo periodo di crisi, a cavallo del nuovo secolo e, grazie a nuove muse come Scarlett Johansson e a nuove ambientazioni come Londra e la Spagna, abbia vissuto una palingenesi rigenerativa. Tutto questo a me è passato sopra, lontano lontano: sono rimasto al Woody Allen di Io e Annie e di Manhattan. Quest'ultimo credo sia uno dei primi film in assoluto che ho visto in lingua originale, sulla futuristica tecnologia del "videodisco laser" alla Mediateca di Ateneo di Firenze più di venti anni fa, e non ci ho capito assolutamente niente. Poco male, perché l'avevo intravisto al cinema quando uscii e io avevo allora meno di 10 anni, non capendoci nulla neanche in italiano.

Adesso ho ceduto alla tentazione e sono tornato al cinema, dolcemente invogliato, per andare a vedere You Will Meet a Tall Dark Stranger, che da noi diventa "l'uomo dei tuoi sogni" (forse perché dalle nostre parti dovrebbe essere biondo e non bruno). E non ne sono particolarmente contento. Resuscita Naomi Watts (sciapa), appare Josh Brolin (bravo), si mostra Freida Pinto (bambolina male usata), cazzeggiano Antonio Banderas e Anthony Hopkins (poca passione, tanto mestiere). La più convincente, alla fine, è l'anziana Gemma Jones (classe 1942) e la più sorprendente è la caratterista effervescente e surreale Lucy Punch. Britannica, classe 1977, sta lavorando tanto negli Usa: in lingua originale dev'essere uno spasso, con livelli di incomprensibilità paragonabili alla mia scoperta giovanile di Manhattan.

La cosa che mi ha lasciato perplesso, in un film tecnicamente ottimo anche se fin troppo centrato sui personaggi (monodimensionali nelle loro passioni e debolezze, come prevedibili sono le loro cadute o le loro resurrezioni), è che manca il finale. Ma io dico, va bene l'opera aperta e il coito interrotto, però un cacchio di finale si poteva sempre abbozzare no? Le partite in multiplayer a Call of Duty MW2 danno più soddisfazione, con il replay della morte della vittoria. Bah!

12.1.11

Momenti delicati

STO TRAVERSANDO UN periodo di transizione quasi completato ma alquanto delicato. Sto passando da iSnip a jfSnip. In pratica, da una utility di sistema all'altro per avere a disposizione gli ultimi 20 blocchi di testo copiati sul Mac e poterli reincollare. È un processo delicato per me, perché mi ero abituato a iSnip alla grande; lo usavo solo per la funzione di "buffer", ma era una delle tre cose indispensabili da portarmi sempre dietro.

Come funziona: ecco di cosa sto parlando. Mettete che copio una frase da un sito web, poi chiudo la pagina, faccio altre cose, come mio solito mi distraggo e magari copio senza pensarci un'altra cosa: ecco che mi sono perso quella prima frase che avevo copiato. Non c'è un "Undo" per il copia, né la possibilità di "ricordarne" più di uno, a meno di usare una utility di terze parti. Come iSnip, appunto.

Il problema con iSnip è che non lo aggiornano più. Mi sto passando l'ultima versione scaricabile e funzionante praticamente da installazione a installazione dei Mac (per lavoro ne provo un certo numero all'anno, non è sempre così facile). Infatti, iSnip non è mai più stata aggiornata, neanche ai processori Intel. Funziona infatti ancora come processo PowerPC: questo vuol dire che ha bisogno di Rosetta, che consuma relativamente parecchie risorse di sistema e che, soprattutto, non funzionerà ancora a lungo. Secondo me già questa estate, con Mac OS X 10.7 ce lo sogniamo di far girare ancora il codice PowerPC sul Mac.

Entra in scena jfSnip, prodotto dalla tedesca JavaFactory. Questa volta un prodotto a pagamento, però è praticamente il clone di iSnip e va benissimo. Si trova anche su Mac App Store (dove l'ho scoperto), e il fatto che sia nello store di Apple lo rende ancora più interessante, direi, anche perché costa poco più di 5 euro e adesso posso passarlo con un click dal portatile al fisso senza problemi di reinserire i codici e robe del genere.

So che esistono soluzioni alternative a iSnip/jfSnip più semplici o più sofisticate, a seconda della bisogna. Questa però è la mia preferita, quella a cui sono abituato e soprattutto quella che funziona bene per le mie esigenze. Lo so: lo scopo di queste applicazioni è molto più ambizioso, e cioè tenere una serie di frasi pre-scritte e spesso usate a portata di mano, per inserirle ad esempio nelle email o come codice html, se uno fa quello di mestiere. Ma a me serve come "archivio" dinamico per i copia e incolla e nient'altro. E iSnip prima, jfSnip adesso lo fanno maledettamente bene.

11.1.11

SOB (1981)

ERA UN SACCO di tempo che volevo rivedere questo film di Blake Edwards, il regista della Pantera rosa e di Operazione sottoveste. La fatica per ritrovarlo (e guardarlo di nuovo) ne è decisamente valsa la pena. Commedia brillante ma tinta di nero, ambientata in una hollywood surreale, con al centro la "solita" villa, stile Hollywood party ma con un canovaccio completamente diverso. La storia è quella di un famoso produttore/regista (alter ego dello stesso Edwards) entrato in crisi dopo il suo primo flop, che vede coinvolta anche la moglie, la famosa attrice disneyana legata per sempre al ruolo di Mary Poppins (interpretata dalla vera moglie di Edwards, nonché interprete sul serio di Mary Poppins, Julie Andrews), terribile e fragile come nella migliore tradizione delle prime attrici hollywoodiane.

Il film scorre rapido e divertente, costruito sul terzetto di amici (uno straordinario William Holden alla sua ultima interpretazione, un semi-sconosciuto Robert Preston in stato di grazia e un notevole Robert Webber, tra i migliori caratteristi di Hollywood) e dall'ecosistema di amici/nemici, di piccoli tradimenti, di continui cambi di fronte e sorprese tra il capo dello studio cinematografico, l'attricetta sua amante e il giovane attore amante dell'attricetta e a sua volta innamorato della vita.

Il cast del film è veramente ricco: oltre ai già citati Andrews, Holden, Preston e Webber, ci sono anche Robert Vaughn, un giovane Larry Hagman, Loretta Swit, Marisa Berenson, Shelley Winters, una giovanissima Rosanna Arquette e lo straordinario comico e imitatore Larry Storch, conosciuto solo negli Usa.

Fa da cucitura e contrappunto alla storia la vicenda dell'anziano corridore che passa sulla spiaggia dove guarda la villa: l'uomo (un bravo attore molto sottovalutato) arriva insieme al suo cane all'inizio del film, viene colto da un attacco di cuore e muore nell'indifferenza di tutti i bagnanti; nessuno si accorge della sua fine sino al giorno dopo, a parte il cane che continua a fargli da guardia e che poi continuerà a tornare sulla spiaggia, desolatamente fedele al suo padrone e portatore di una sofferenza simmetrica a quella del noto regista e produttore Felix Farmer, interpretato da Richard Mulligan come alter ego di Edwards.

SOB è da rivedere, un piccolo capolavoro neanche troppo minore di Edwards, che sfortunatamente è morto a metà dicembre scorso. Dentro l'abito comico del film c'è un'anima, un sentimento di tristezza (il che non sarebbe poi una novità) che però si lega a una tradizione più ampia di nichilismo losangeliano: da Sunset Boulevard in avanti, passando per tutto il noir su carta e su pellicola ambientato a Los Angeles, c'è qualcosa di andato a male, di non curato in questa moderna Babilionia. Qualcosa che, nonostante il sole e le feste, emerge in maniera dissonante e disturbante. Nel film, questa nota cupa è l'anima della storia, la sua saggezza.

Ah, un'ultima cosa: S.O.B. vuol dire "Son Of a Bitch" ma anche "Standard Operational Bullshit".

10.1.11

The Social Network (2010)

The Social Network, il film su Facebook che ha sbancato i botteghini di tutto il mondo, ha vinto quattro premi della National Society of Film Critics: miglior pellicola, miglior regista, miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista. The Social Network è considerato uno dei favoriti per le nominations agli Oscar, che verranno annunciate il prossimo 25 gennaio, Io l'ho trovato noioso, quasi quanto la cosa originale.

9.1.11

Have you ever considered blending in?

GARRY B. TRUDEAU torna di nuovo, come ogni domenica, con il suo Doonesbury.

7.1.11

Cosa succede adesso che Apple ha presentato Mac App Store

UNA RIFLESSIONE VELOCE su Mac App Store, che è arrivato da meno di due giorni. Tre punti.

1 - Per chi è abituato ad avere tanto software cracckato (che su Mac è anche facile, per dire), questo segna la fine di un'era. Bisogna entrare nell'ordine di idee che le applicazioni si pagano. Oppure si cercano alternative ree.

2 - Aumenta la stabilità e la sicurezza della macchina su cui si lavora: le installazioni, gli aggiornamenti e le configurazioni diventano semplici e gestite centralmente

3 - Aumenta la sicurezza dei dati: adesso basta fare un backup dei dati (la home con i dati: posta, documenti, configurazioni particolari) per essere sicuri, perché su una nuova installazione o una nuova macchina si possono reinstallare le applicazioni già comprate, che rimangono nella nuvoletta di Mac App Store, cioè su internet.

La conseguenza non la vedremo subito, ma la premessa è rivoluzionaria. Secondo me più facile capirlo se lo si prova che semplicemente pensandoci. La conclusione? In questo momento solo Apple ha sviluppato una strategia alternativa a quella del sistema operativo/negozio/computer tutto su internet di Google, cioè il ChromeOS e le relative apps che rimangono in rete. Le cose si fanno molto, molto interessanti.

Una postilla. Questo della gestione delle applicazioni e quella dei dati sono due dei tre grandi problemi. L'altro è la gestione delle identità digitali: passiamo un sacco di tempo a fare log-in log-out da servizi dei tipi più diversi, mettendo password da tutte le parti. Solo ricordarsele è un dramma. Il rischio da evitare ovviamente è di usare sempre la stessa. Però ti passa la voglia, alla lunga.

Bene, questo è l'altro fronte che dovrà essere presto affrontato, IMHO. Google con Gmail è già un pezzo avanti, Apple (che ha MobileMe e iTunes/App/Mac App store) potrebbe seguire molto presto. Anche qui, spero di vederne delle belle molto, molto presto.

5.1.11

Il 16 gennaio del Sole

FRA UNDICI GIORNI il Sole 24 Ore dovrebbe cambiare formato. Dico dovrebbe perché nella vicenda, che leggo per la prima volta su Lettera 43, non è stato ancora messo il punto finale, a quanto pare...

Money Quote: I numeri dicono che il quotidiano, sotto la direzione di Gianni Riotta, ha perso oltre 40 mila copie, che tradotte in vil denaro vogliono dire una diminuzione dei ricavi pari a circa 16 milioni di euro.

Il Domenicale, l'inserto culturale del dì di festa che avrebbe dovuto fare da avanguardia dell'intera trasformazione in tabloid, dopo il primo numero è incorso nel temuto effetto soufflé, sgonfiandosi nelle successive edizioni.

In più, una manina guascona ha ritirato fuori da qualche cassetto lo studio sugli effetti della riduzione di formato sulla raccolta pubblicitaria, che Andrea Chiapponi aveva opportunamente predisposto. Per l'ex capo della System, la concessionaria di pubblicità del gruppo, l'operazione avrebbe comportato una diminuzione degli introiti stimabile tra il 15 e il 25% della raccolta.
Di fronte a questi dati di fatto, l'idea del tabloid è tornata a colorarsi di incognite.

2.1.11

Il 2011 della politica americana

FRANCESCO COSTA SUL Post di Luca Sofri fa un lavoro mirabile di sintesi e integrazione, mettendo in fila una dopo l'altra le cose politiche degli Stati Uniti per l'anno a venire. Da leggere.

Money Quote: La politica americana è strutturata per cicli regolari e praticamente immutabili: una volta l’anno si fa il discorso sullo stato dell’unione, ogni due anni si votano tutta la Camera e un terzo del Senato, ogni quattro anni si vota per la presidenza, un anno prima si comincia con le primarie di partito. Tutti lo sanno: gli elettori, i giornalisti e soprattutto i politici, che quindi si regolano di conseguenza. Una delle ragioni per cui la politica americana è interessante e divertente da seguire è l’esistenza di questa serie di paletti e pilastri: poi ci sono un miliardo di cose e fattori imprevedibili, molti di più che in paesi dall’assetto istituzionale più instabile, ma le regole del gioco sono note e chiare e quindi le cose si leggono meglio. Non bisogna decifrare discorsi in politichese, non bisogna appendersi ai virgolettati dei retroscena pubblicati sui quotidiani (che infatti ne pubblicano ben pochi), non è necessario vedere dappertutto complotti, manovre machiavelliche e alleanze sotterranee.

E quindi, scorrendo il calendario dell’anno che appena cominciato, non è complicato individuare quali saranno i fatti fondamentali da tenere d’occhio nella politica statunitense.


(continua sul Post)

My life would make such a great movie!

LA PRIMA DOMENICA dell'anno e subito arriva Doonesbury di Garry B. Trudeau.