16.1.10

"Sono un idealista, non un fautore di concezioni elitarie del web"

LA PIETRA DELLO scandalo, che ha fatto partire il dibattito sui nostri giornali relativo all'imbarbarimento del web 2.0 e alle promesse mancate più in generale da Internet rispetto alla società, parla. È Jason Lanier, sconosciuto ai più fino a poco tempo fa, in realtà pioniere della realtà virtuale ed eclettico a tutto campo (ricercatore, docente, musicista, compositore e chi più ne ha, ne metta). Lo "intervista" Il Sole 24 Ore.

La storia è di Marco Valsania, che ha incontrato Lanier a margine di una presentazione del suo libro a New York. Lanier, che ha di recente pubblicato il suo manifesto You Are Not a Gadget, sostiene tra le altre l'idea che si potrebbe creare un sistema di micropagamenti centralizzati su Internet per ridare dignità (e valore) al lavoro delle persone, che invece la mentalità dominante sta svuotando di valore eliminando il prezzo. In pratica, propone a mio avviso un contratto sociale con una inedita moneta per lo "stato-Internet". E l'idea ha parecchio senso, peraltro. Almeno in teoria. Internet come "posto" a se stante, dove valgono regole parzialmente diverse e dove gli scambi avvengono con una moneta digitale unica.

La cosa davvero inquietante del dibattito nostrano, però, è che, pur risalendo alla radice di Lanier, non sfiora neanche alla lontana i temi più intriganti che vengono sollevati dall'uomo. Si parla della sua idea di "mentalità da linciaggio" della rete a causa dell'anonimato, degli errori del Web 2,0 che sta creando mostri della ragione, con il collettivismo, il "maoismo digitale" di entità come Wikipedia e Google, oltre a Facebook (li definisce "I Signori delle Nuvole", con riferimento fine al cloud computing). Però, se uno si va a leggere il libro di Lanier, scopre che dentro c'è molto di più.

C'è la visione profondamente laica di uno scienziato ed artista che scopre una deriva esplosa all'improvviso nella nostra società e contro la quale lancia il suo avvertimento. La deriva inizia con il culto e l'adorazione di entità impersonali che vengono rese "viventi", come l'informazione, che "vuole essere libera" ma che in realtà "non è niente". Però diventa più importante delle persone, e insieme a lei anche la scienza e la tecnologia diventano "persone" più importanti delle persone reali.

Infatti c'è qui il bersaglio grosso di Lanier: il nuovo culto della scienza e della tecnologia. A cui fa capo il sogno diffuso fra i vari tecnocrati miliardari della Silicon Valley dai vari Kurzweil di arrivare alla "singolarità" in cui avremo macchine che ci permetteranno di scaricare la coscienza umana dentro i computer, rendendo gli individui sostanzialmente immortali. Il tutto condito con un animismo pagano dei culti new age (di cui il film Avatar sarebbe un esempio perfetto), evoluzione sincretica di ambientalismo, tecnologia, spiritualismo. A cosa portano? Semplice, dice Lanier: all'adorazione della Natura. Mi viene da dire: all'adorazione della Natura come soggetto creatore e non come oggetto creato, se qualcuno si ricorda dal liceo la vecchia contrapposizione di Spinoza fra "natura naturata" e "natura naturans".

La cosa paradossale è che questa spiritualità pagana, una forma di superstizione che si reinventa il mito della Madre Terra, pervade gli animi degli "atei", delle persone che affidano alla ragione della scienza la propria dimensione spirituale e negano trascendenza e qualsiasi mistero dello spirito. Atei convertiti al culto della Terra, che si sentono in sintonia con gli spiriti come gli indiani e forse i popoli legati a una tradizione spirituale e religiosa come quella dello scintoismo, di sicuro non noialtri nipotini del Secolo dei Lumi. Atei che rifiutano la superstizione religiosa, ma poi adorano la macchina che dovrà essere portatrice della loro redenzione e - soprattutto - salvezza personale.

Insomma, il manifesto del nostro Jaron Lanier è complesso e molto profondo: tocca il cuore della società contemporanea passando per il Web 2.0. E forse, alla fine, il suo punto non è affatto il web, ma le ideologie che i nostri leader stanno veicolando più o meno consciamente. Dice e ripete Lanier: siamo vittime di una sbornia collettiva, dovremmo risvegliarci da questa poltiglia del pensiero non più creativo in cui siamo sprofondati. Qualcuno se n'è accorto?

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