31.7.07

Il post della mamma

MIO FIGLIO È impegnato in una giornata sabbatica per festeggiare la fine dei carpiati preliminari e prepararsi da domattina al Grande Carpiato Sublime e Totale, altresì detto Il Carpiato Perfetto. Io sono venuta a Milano a preparargli il brodino di pollo ma dato che lui è uscito per "bere una cosa" con Iris Bahr (ragazza straordinariamente profetica, dato che è riuscita a predire anche la mia opinione su di lei, la SP), prendo un attimo la tastiera in mano.

Mio figlio è una povera testa di cazzo. Non perché sia pelato (anche se in effetti la condizione di tricoleso aiuta la costruzione dell'immagine retorica) ma perché non ha capito una beneamata ramazza. Oggi come oggi, se hai un blog e sei un furbetto del cyberspazio, ti devi buttare in politica. E che cazzo, hai questi qualchecentinaio di lettori, mucche pacifiche che ti seguono da tempo, una reputazione technoratica, una certa visibilità: è il momento. Cazzo, figlio, segui l'onda, mangia dalla pastoia comune il pappone con le altre bestie della rete, abbeverati della sostanza aspra che fa l'identità italiota. Anche se non hai la laurea in architettura o in medicina, fai qualcosa, respira, scoreggia, manda un segnale di vita. Che sia intelligente, oggi come sempre, è un optional. Segui il grano, non cazzeggiare come un artista maledetto fallito prima ancora di avere talento (tanto non ce l'hai).

C'è questo gruppo di falsari e tromboni, io ho quasi settant'anni e lo posso dire con una certa serenità d'animo perché insegnavo all'università quando ancora sognavano di iscriversi ad architettura per fare i rivoluzionari di questa cippa, che adesso tirano il verso del fumo. Segui l'onda. Non fare il pirla, come dicono qui gli ex piduisti e craxiani nostalgici con lo stipendio da dipendenti pubblici e la posizione nel sindacato o nell'associazione culturale del menga. Succhia. Fatti raccomandare alla Rai, lecca qualche culo, mangia un po' di sterco come tutti, Cristo santo. Puoi metterti i guanti bianchi, se vuoi, ma non mi vorrai mica diventare un patetico tizio qualunque, vero? Un fallito come la buonanima di sappiamonoichi? Fonda un movimento, chiamalo "iToscaniEsiliati", che fa tanto iPod, oppure "iQuantoSaDiSaleLoPaneAltrui", raccomandati al cazzone di turno e dopo un paio di mosse e anche due o tre strizzate d'occhio a destra e a manca salta nelle cazzo di mutande di Veltroni, l'uomo nuovo. Ti devo proprio insegnare tutto? Fai uno scisma, metti in minoranza il tuo alluce e poi smentiscilo, ma datti una cazzo di mossa.

Veltroni era già morto quando ero ancora alle elementari, puzza di cadavere talmente da lontano che anche le delegazioni brasiliane di Lula quando prenotano gli hotel per venire in Italia lo evitano. Sarà la più amara delle sorprese, soprattutto se la sfiga lo porterà a diventare, oltre che candidato presidente, sindaco di Roma, presidente del Consiglio anche preside della scuola di tuo cugino. Ma che ci vuoi fare, lui le poltrone se le fa tatuare sul culo come un tribale. Quando D'Alema ancora tirava le molotov a Pisa lui era già al Cremlino nel comitato dei vecchi saggi, a scrivere i regolamenti di una competizione sana e democratica: si candidano solo quelli che posso sconfiggere, gli altri vadano a darlo via sul lungotevere. Ah, e non bisogna dimenticare l'uomo dentro il politico: Veltroni è un omino piccolo piccolo piccolo, cattivo cattivo cattivo. Molto cattivo. E piccolo. Ma te l'ho già detto che è cattivo? Ha anche un taccuino su cui si segna quelli che gli pestano i piedi, per fargli il culo con calma, quando le acque si sono calmate. Evita quel taccuino come la morte. E non gli dire mai che è un omino. Neanche che è piccolo. Però che è cattivo ogni tanto diglielo, perché quando sente dire che è "buonista" diventa una vera bestia. Sorridendo, ovviamente. E scrivendo sul suo taccuino qualche nome.

Povero figlio mio ingenuo, idealista e decisamente coglione. Non lo sai che quelli gentili e disponibili non fanno mai carriera? Non lo sai che devi mordere se non vuoi che ti sbranino? Cosa credi di fare, con la tua prosopopea da intellettuale di provincia, che segnali da solo più libri di tutta Blogbabel? Hai il complesso di superiorità? Senti il bisogno di dimostrare che non hai letto solo topolino? Che sei alla ricerca dei tuoi fantasmi personali? Non lo sai che i Veltroni e i Beppegrillo i tuoi fantasmi se li sono già venduti? Non lo hai capito come si fa a vivere? Chi sono i furbetti? Chi mangia la pappa e a quelli come te non lascia che la merda?

Ops, sento l'ascensore. Secondo me sta tornando. La SP a quanto pare aveva i suoi cazzi stasera. Facciamo finta di niente. E voi non dite niente, mi raccomando. Ma tanto che ve lo dico a fare: se non siete neanche buoni a scegliere i blog che leggete, figuriamoci che campioni del XXI secolo dovete essere... Beh, anche voi ci avete i vostri problemi, ci avete. Bòna...

30.7.07

Self promotion (che non fa mai male) nella stagione dei saldi

SOLO PER RICORDARE ai gentili visitatori che alcuni dei tomi già prodotti dal titolare di questo Posto negli ultimi 18 mesi si vendono con un certo (consistente) sconto online:

Le professioni della comunicazione
Interviste ai protagonisti dei differenti settori del mercato della comunicazione che aiutano a orientarsi in un settore un po' difficile. Una bussola che spero sia utile a chi vuole iniziare a navigare questi mari

Donne e tecnologia
Le buone prassi raccolte dal progetto Futuro al Femminile, un piccolo patrimonio di informazioni su come vengono portate avanti le politiche di parità nelle pubbliche amministrazioni locali con l'aiuto delle nuove tecnologie

(Ps: l'editore molto cortesemente mi ha già pagato a forfet entrambi i lavori; quindi, se li comprate o non li comprate, io non ci guadagno niente. Così, per la cronaca...).

29.7.07

Doonesbury, by Gary B. Trudeau

ESSENDO CHE È domenica un'altra volta, segue il consueto appuntamento...

28.7.07

Dimmi come parli e ti dirò se... - Parte seconda

VIA, RIPRENDIAMO E chiudiamo il discorso, così poi vado a letto e leggendo un po' nella calura almeno mi addormento sereno. Dunque, cos'avevamo detto nella prima parte:

- La lingua che si parla è importante

- Con la lingua esprimiamo i concetti e ci scambiamo le informazioni

- I popoli innovano e sono creativi in maniera diversa

- Innovazione e creatività hanno a che fare con "l'invenzione" (e la scoperta) di cose nuove che poi vengono adottate

Vedete il legame? Provo a citare una frase che ho trovato oggi, cercando tutt'altro:

L'uomo può controllare solo quel che comprende, e comprende solo quello che in grado di esprimere a parole.

Lo scriveva nel 1971 Stanislaw Lem nel suo Congresso di futurologia. Lem era polacco (è morto nel marzo del 2006 a 85 anni) ed è diventato molto famoso come scrittore di fantascienza, anche se in realtà l'uomo era un filosofo, odiava la fantascienza (soprattutto quella americana) e molti degli usi della tecnologia. Per un periodo l'autore di Solaris, è stato lo scrittore non di lingua inglese più pubblicato al mondo (il modo stesso con il quale è impostata questa statistica dovrebbe farci riflettere sull'importanza delle lingue nelle culture e nelle industrie culturali).

Allora, conclusione che giustifica anche il titolo: dimmi che lingua parli e ti dirò se innovi. La mia idea, infatti, è che esistano lingue che aiutano a innovare di più e lingue che aiutano meno, perché alcuni popoli parlano in maniera tale da essere più rapidi e flessibili a incamerare nuovi concetti che poi, come dice Lem, "domina". L'italiano, attualmente, sta diventando una lingua molto povera e pigra. Ecco, era tutto qui. Buonanotte, miei cari sorcini.

La violenza e la viltà

OGGI IL NEW York Times ha tirato fuori una serie di lettere (trenta) che Hillary Clinton aveva scritto ad un amico a cavallo degli anni Sessanta. È stato proprio il NYT, con un colpo da maestro di giornalismo rapace, di quello che segna la leggenda delle primarie prima e delle elezioni presidenziali americane poi ("La stampa ti macellerà, qualcosa trovano sempre). Ma è stato un colpo anche di una certa classe, che già intravedo sui giornali italiani di domani (con meno enfasi, forse, di eventuali sms di Paris Hilton). A prescindere, un colpo violento: ripescare la memoria intima di una persona per far leva su questa al fine di "illuminare" il profilo di un personaggio molto controllato dal punto di vista dell'immagine, trenta se non quarant'anni dopo è una vera violenza. C'è il diritto all'oblìo anche per i galeotti una volta che abbiano scontato il loro debito con la società.

Comunque, due cose. Prima, le eventuali lettere del ventenne Walter Veltroni, come la molotov pisana di Massimo D'Alema o i trascorsi nostalgici di Silvio Berlusconi, temo sarebbero alquanto più imbarazzanti di quel che scriveva la Clinton. Seconda, violare la riservatezza della corrispondenza a tale distanza di tempo e per di più per mano di un ex amico complice che ci alza anche dei soldi è vile oltre che squallido. Ma non credo che i colleghi italiani se ne renderanno conto.

Consiglio, per rifarsi la bocca e imparare la differenza tra senso dell'understatement britannico e ipocrisia dei media, un libro un po' lunghetto (sono queste 680 pagine pubblicate da Neri Pozza per 20 euro) a cura dell'attuale responsabile della sezione degli obituaries del Times di Londra, intitolato Vite straordinarie, che ho comprato giusto stasera dopo una tranquilla cenetta estiva a base di carpaccio di manzo col grana e birra fresca insieme all'amico Mattia. Raccoglie il meglio di 75 anni di necrologi (ma il termine è fuorviante, vista la tradizione encomistico-superestiziosa dei popoli latini al riguardo soprattutto del trapasso ma anche dei trapassati).

Come viene osservato giustamente nell'introduzione del libro scritta dal curatore della collana, Stefano Malatesta, quella di Vite straordinarie è un'Inghilterra e una Londra che non esistono più, essendosi i tipi umani del londinese da tempo trasferiti in Toscana e in Grecia (quei pochi che ne restavano, per lo meno). Ma è una lezione, francamente, di stile prim'ancora che di giornalismo. Una lezione che neanche i migliori tra gli italiani (Montanelli?) riescono. Anche questa è l'estate calda di Milano.

Il mestiere del dottore

SEGUO PER UNA giornata un amico che fa il medico. Al bar, la mattina, comincia finalmente a rompere il ghiaccio con la cameriera: come va, come sta, che bella giornata, e lei che fa? Lui a questo punto lui tentenna: già lo sa cosa sta per succedere. "Faccio il medico", azzarda. "Ehi, che bello, che mito, il medico, dai, fantastico. Anche io volevo fare il medico. Sa che mi piace tantissimo? Do un sacco di consigli agli amici, è un mestiere fantastico. Salvare le vite umane. Anche io vorrei fare il medico".

Si inserisce un altro avventore: "Certo, il medico è una gran professione. Chissà quanta gente ha curato. Nel mio piccolo io ho fatto alcuni anni di pratica medica, per un piccolo studio di periferia. Lavoravamo su casi semplici, medico di quartiere, eh, non mi fraintenda". Il vecchio avventore panciuto, quello che sta in un angolo, sempre vestito in maniera elegante e non più bello, non più giovane, osserva come parlando a se stesso: "Medico degli animali. Non bisogna dire veterinario. Sono medico degli animali. Un medico degli animali è più bravo di un medico degli umani, perché deve conoscere la fisiologia di molte più creature. È più complesso, più difficile. Non siamo medici di serie B. Siamo medici degli animali, di tutto il creato".

La giornata procede tra visite a pazienti, anche quello un esercizio un po' paradossale. Si sa, a meno che non stiano proprio male, la maggior parte si sentono un po' medici anche loro. E i loro parenti. "Io curo la gente, proprio come lei", dice uno seduto al capezzale della figlia ammalata. Un altro dice: "Sono un ex medico. Non ce l'ho fatta a passare il numero chiuso della scuola di medicina, ma continuo a dare farmaci e pillole un po' da tutte le parti. Gratis, ovviamente, perché per me è una missione. Nella vita faccio lo sfasciacarrozze, ma non è un lavoro che mi soddisfi più di tanto".

Commenta il mio amico medico: "Lascia perdere gli anni di medicina, il giuramento di Ippocrate, il sacrificio personale che ci vuole per fare il medico in un mercato della sanità che ci tratta come i barellieri degli anni Cinquanta, la politica da tutte le parti che uccide i tuoi sogni da ragazzo, i Baroni dell'università e delle cliniche private e degli ospedali. Il fatto è che da qualche anno a questa parte tutti si sono messi in testa di fare i medici. Il confine è labile - aggiunge il mio amico - perché tutti qualcosa capiamo e diamo una mano agli altri, se serve un consiglio su come curare il raffreddore, ma qui si sta cominciando a esagerare. Ho visto l'altro giorno tre ragazzotti con le mani unte in una clinica da campo, montata in una tenda da campeggio nel mezzo della piazza del duomo, ricevere pazienti, somministrare trattamenti, dare medicine, praticare operazioni. È un mondo all'incontrario".

Il mio amico corre come un matto, va a destra e a manca. Si danna per due motivi: segue la passione di una vita (perché dopotutto il mestiere del medico lo fai non per diventare ricco - anche se qualcuno ricco ci diventa e si potrebbero anche discutere i modi) e cerca di mettere insieme i soldi necessari a campare. "La parte più difficile - osserva - non è il lavoro, che alla fine si può ovviamente imparare a fare, ma è resistere alle pressioni: come medico prescrivi un sacco di farmaci, e non ci vuole niente per diventare un rappresentante delle case farmaceutiche, uno che prescrive sempre quella marca di medicina. Stare dalla parte del paziente è sempre più difficile".

Un particolare che colpisce, visti i costi di avere un medico nello staff, è la politica degli ospedali e delle case farmaceutiche. I primi tengono oramai in pianta stabile gruppetti di medici-pazienti nel cortile del nosocomio, alcuni addirittura gli danno un'ala un po' dismessi. Portano nuovi pazienti, dicono gli amministratori. Fanno solo cosette semplici, mica operazioni a cuore aperto, dice un vecchio primario paffuto e sorridente. E le case farmaceutiche hanno capito che con i medici-amateur possono fare di tutto, anche cliniche tematiche dedicate a un singolo farmaco. "E la cosa più stupenda - aggiungeva un vecchio direttore generale di una multinazionale svizzera - è che non li devi neanche pagare! L'unica cosa a cui bisogna stare attenti è che questi matti non si mettano di punta e comincino a dire che le tue medicine in realtà fanno male. Ma non è difficile stare con loro, dopotutto si ritrovano nei loro congressi di aggiornamento al bar: è pure divertente andarci a regalare magliette e bustine di analgesici che inghiottono come fossero Mentos".

Torniamo a casa la sera circondati da una nuvola di aspiranti medici, medici falliti, presunti medici, medici in erba, medici per caso, medici per hobby, medici per errore. "È naturale che ne veda tanti - dice - perché dopotutto mi muovo sempre dove ci sono le malattie, ed è proprio lì che si trovano questi strani tentativi di medici. Mi chiedo solo perché oggi tutti vogliano fare il medico. È questo che non capisco. Saranno mica diventati tutti degli ipocondriaci?".

Ecco, non la tiro in lungo oltre. Sostituite a "medico" il termine "giornalista" e agli altri il "blogger-giornalista", l'amateur. E rispondete a una domanda: ma perché cacchio volete tutti fare il giornalista, oggi? Non ci avete proprio niente di meglio da fare, non ci avete?

Ma la Smart? Ma l'Opel Corsa?

È UNA VITA che questo crash-test gira su Internet. Sempre interessante vedere come funziona la struttura di sicurezza di un paio d'automobili. Da notare, però, che la vera conclusione è un'altra: anche se la cella sopravvive, la decelerazione improvvisa e violenta frantuma gli organi interni: survive? No ways...

27.7.07

Carosello: il prossimo computer

SECONDO ME A ottobre, quando esce Leopard, sarà una gran figata...

25.7.07

Carosello: "social-cippa lippa" Snack!

MENTRE IL COFFEE break assume proporzioni epiche - probabilmente ci deve essere un problema all'impianto della sala conferenze - mettiamo su la pubblicità. Il fatto è che ho incocciato in questo Blogstar Death Match fantastico anche perché credo proprio che stia avvenendo all'insaputa della maggior parte dei diretti interessati. Meglio: pensate che pizza se lo tiravano fuori i soliti noti del "social cippa-lippa".

Tra l'altro, sempre il buon Paulthewineguy, lancia anche "Diario Sfondato", la sua inchiesta inutile che, in tema di sondaggistica, se non altro fa sorridere e magari anche pensucchiare un po' ai risultati con relativa glossa. Da praticare anch'essa, perché pur sfottendo il solito "social cippa-lippa" poi alla fine dice cose pure interessanti (con la qual cosa si dimostra che pure un sondaggio fatto tra i micetti orbi della gatta cieca affascina le menti fragili ed è già passabile se non altro a Porta a porta).

Sono quindi affascinato - almeno per i prossimi trenta secondi, un po' come si sa che a cultura "snack social-cippa lippa" fa alle già fragili menti dei giovani autori.

Ah, se poi fate il Blogstar Death Match, vi prego: sintonizzatevi il 29 e votate Freddy, così perde. E ci resta male...

- Coffee Break - Azzanna una Fiesta!

STA VENENDO FUORI il vero coffe break all'italiana, quello che dura una vita. Il fatto è che poi son dovuto uscire, è stata una giornata un po' difficile, fa caldo, sono stanco, ho finito manghi-banane-kiwi e forse, anziché comprimermi in vista della festa di carpiati che stanno già scalciando, dovrei prima andare in vacanza e poi se ne riparla.

Però...

Quando siete giù di corda, manca il fiato, avete una fame che non ci vedete (e la Fiesta non c'è), voi cosa fate? Se posso permettermi, vi suggerisco di passeggiare dentro un pensiero bello per cinque minuti. Al limite, uno liofilizzato che potete tenere sulla scrivania del computer sotto forma di link: un click e ci siete. Il mio è questo: ogni volta che lo leggo, non so perché, ma mi sento pieno di nuove energie.

Dimmi come parli e ti dirò se... - Parte prima

LA CENTRALITA' DEL linguaggio. Beh, non è poi così strano, visto che stiamo parlando di persone, non di macchine (l'uso del termine "linguaggio" in informatica, nonostante Chomsky, dovrebbe essere rivisto e bisognerebbe trovare un'altra parola). Comunque, ci sono un po' di cose che si stanno sovrapponendo e vorrei rimetterle in ordine. Non sarà brevissimo, ma venitemi dietro con gaiezza e spensierati come sempre. Niente pipponi, giuro!

Allora, conta la lingua? Prendiamo questo vecchio (del 1999, vecchio si fa per dire) ragionamento di Clay Shirky:

the internet is creating an American version of the British Empire, with the English language playing the role of the Royal Navy. This isn't about TCP/IP -- in an information economy the vital protocol is language, written and spoken language

Stiamo parlando della "dominazione" delle lingue sopra le menti e le culture. Non è un tema nuovo, per dire i francesi ci si stanno incaponendo da tempo, per quanto riguarda l'inglese. E fin dai tempi di Babele la lingua che si parla conta. Oggi, come scrive shioyama nella sua recensione al nuovo libro di David Wenberger, Everything is Miscellaneous (che tratta in buona sostanza dell'impatto dei motori di ricerca sul modo con il quale le nostre culture hanno sinora gerarchicamente ordinato il sapere), bisogna sapere (shioyama cita Shirky) che:

foreseeing that as trade in information replaces trade in hard goods, "the definition of proximity changes from geographic to linguistic".

Allora, siete ancora vivi? Devo mettere una foto di donna nuda per farvi recuperare il fiato? Ricapitolo? Il concetto è che la lingua conta. Conta più di tante altre cose perché dopotutto ci scambiamo informazioni e queste devono essere codificate linguisticamente. Se non parlate la lingua in cui sono codificate, son cavoli vostri. L'inglese la fa da padrone. Ok? No, c'è di più, secondo me.

Partiamo da un altro punto. L'innovazione, la creatività. Trattasi di risorse sempre più importanti. Da noi in Italia si dice che è il design la cosa buona da fare (inteso come design industriale che coinvolge l'atto creativo, poi l'innovatività dell'idea e della sua possibilità di essere prodotto con economie sensate e quindi portata sul mercato: tutti e tre i passaggi si tengono in un unico momento), forse anche perché c'è poca gente che ha voglia di raccattare pomodori o di tirar su muri. In realtà, moltissimi passano la vita come i 71mila di Microsoft tra i quali non è che la maggioranza siano creativi o innovatori di professione (Google cerca di fare diversamente con la sua collezione di dipendenti-dottorati di ricerca, ma anche qui ci sarebbe da parlarne) quanto, piuttosto, impiegati di concetto e Microservi. Comunque, tornando a noi, ci sono posti in cui si innova di più e posti in cui si innova di meno. No?

E allora, ci sarà un legame tra la lingua e la potenzialità di innovazione di un popolo? Dopotutto, la lingua e gli strumenti per esprimerla non sono neutri. Usare un word processor o una macchina per scrivere porta a configurare il pensiero in modo diverso (lo sostengono parecchie persone, non solo io) e le stesse lingue "formano" i nostri cervelletti in maniera differente. Pongono anche notevoli problemi pratici che devono essere risolti dalle società. Volete un esempio?

Un po' di tempo fa ho comprato un libro, si tratta di Ultramar di Aldo A. Cassi (edito da Laterza, 16 euro per 224 pagine). Dalla quarta di copertina:

La Conquista del Nuovo Mondo fu l'opera di un Giano bifronte, un balletto sul filo del cinismo e dell'utopia. Di fronte all'enormità della scoperta, gli europei rimasero letteralmente senza parole. La Natura americana e la Cultura europea sembravano irrimediabilmente incommensurabili. Tutti gli aspetti del Nuovo Mondo richiedevano una definizione appropriata, che le categorie concettuali europee non erano in grado di fornire, se non per approssimazione (...). Per 'prendere' il Nuovo Mondo, prima di tutto bisognava 'comprenderlo' e i soli che avessero le parole giuste per farlo, gli stregoni delle nuove terre, erano i giuristi. La cultura giuridica fu insomma il sistema di comunicazione, l'interfaccia tra il Vecchio Mondo medievale e il Nuovo Mondo la cui scoperta inaugurava l'età moderna. Abituati per mestiere ad avere orrore delle approssimazioni, i giuristi iniziarono a distinguere, a discutere, a definire. Questo libro ripercorre la storia di quelle parole e del loro potere demiurgico e distruttivo.

Ecco, è il momento della pausa. Andate in cucina, fatevi un caffè. Ci vado anche io. Perché il libro è bello e molto, molto ben fatto. Però non lo cito per piacere di lettura ma per il concetto che c'è dietro: il problema quando si scopre un nuovo mondo è trovare le parole per descriverlo. Solo così la nostra mente è in grado di appropriarsene, capirlo e cominciare a "usarlo" o "viverlo". Ecco, giusto un attimo prima che vi alzate per andare in cucina: oggi sono arrivate prima l'informatica e poi Internet. E, se ci fate caso, sono arrivate un sacco di parole nuove. Non per tutti, perché ad esempio i più giovani, "nativi" di questo doppio nuovo ambiente, considerano alcune parole "invisibili", non esistenti. O forse ne usano altre che sfuggono alla griglia della ricerca degli adulti e degli studiosi.

La mia idea per questo esempio è che la lingua e il linguaggio contino eccome: hanno una funzione centrale, perché le persone e le comunità, a seconda dei territori (un tempo, adesso con le reti molto meno: era il punto di Shirky ma un po' l'abbiamo cambiato; da "the definition of proximity changes from geographic to linguistic" a "l'aspetto linguistico non cambia anche se quello geografico scompare") parlano in maniera diversa. Quindi, non solo non si capiscono sempre, ma le strutture e le forme delle lingue che parlano - questo è il mio punto - li rendono anche capaci di cose diverse. Bene: siamo pronti per il gran finale. Adesso, coffe break, e poi lo spettacolo vero e proprio!

24.7.07

Il teorema del Corriere

COSA LEGGETE DI solito? Il Corriere, a proposito delle letture estive, propone un servizio a firma Chiara Bidoli intitolato "Non solo gialli, ecco cosa si legge in vacanza" che racchiude un'interessante concezione del pubblico (oltre a un piacevole saggio di giornalismo da portare nelle scuole. Le scuole medie durante l'ora di italiano, intendo dire). Il tema è, come si intuisce, quello delle letture sotto l'ombrellone (implicito: il momento in cui l'italiano legge) con aggiunta di dati Istat frutto di una ricerca quinquennale (prima si vede che la lettura non pareva un fenomeno stimolante o degno di particolare rilievo per l'ente statistico nazionale).

Ecco il teorema:

Sotto l’ombrellone vedremo comparire testi ricercati, romanzi di autori sconosciuti, libri di saggistica e veri e propri «mattoni». Perché quest’anno si punta sulla qualità e, per scegliere il libro giusto, ci si affida al passaparola e ai consigli di esperti librai.

Da cui si evince che:

1) La qualità sono "testi ricercati, romanzi di autori sconosciuti, libri di saggistica e veri e propri «mattoni»".

2) La scelta del libro si basa sul passaparola o sul libraio, anziché sulle classifiche del Corriere medesimo (che poi comunque le propina tali e quali nel servizio, vedi poco sotto).

3) L'obiettivo della "lettura", attività da svolgere sotto l'ombrellone come sussidio dell'abbronzatura, richiede l'identificazione del libro "giusto"; stessa categoria fenomenologica dell'"occhiale giusto", della "scarpa giusta" e del "fidanzato/a giusto/a" da esibire sotto il medesimo ombrellone. Telefonino "smart" e iPod sono dati per scontati. L'idea di marketing dietro alla Cinquecento è proprio questa.

Poi:

La tendenza è non cercare una lettura fine a se stessa ma scegliere un libro capace di raccontare la realtà, che sappia emozionare e che sia scritto bene, da un punto di vista narrativo e linguistico. Non a caso in vetta alle ultime classifiche di vendita c’è ancora Khaled Hosseini, il medico scrittore di Kabul considerato il caso letterario dell’anno che (...) racchiude tutte e tre queste virtù.

Geniale, lascio ai lettori l'interpretazione del "vecchio" lettore che cerca una lettura incapace di raccontare la realtà, fine a se stessa, che non sa emozionare e scritta pure male (peraltro, sono quattro e non tre, come si nota).

Notare che poi, scrive sempre la Bidoli:

Seguono a ruota autori amatissimi dai lettori italiani, e via elencando la classifica del Corriere, come dicevamo.

Altre due perle. La prima è un fantastico non sequitur da segno blu alle superiori, un esercizio di aritmetica delle somme delle mele con le pere:

A leggere sono in prevalenza le donne (65%), i giovani di età compresa tra gli 11 e i 24 anni (oltre il 70%), gli abitanti di Trento (73,9%), seguiti da quelli di Bolzano (73,2%) e della Valle d’Aosta (69,5%).

La seconda è ancora migliore:

L’84,5% dei giovani che usa il pc legge abitualmente, percentuale che scende al 51,2% tra coloro che usano il pc ma non si dedicano mai alla lettura.

Il commento del presidente dell'Associazione italiana editori nota (come da taccuino della cronista) che le spaccature nel Paese restano: di genere, geografiche, culturali e pure tra laureati e dirigenti. Concludendo che:

«Ci si può stupire, allora, che in un mondo sempre più complesso e competitivo la produttività, l’innovazione, sia il principale fattore critico della nostra economia?»

Perché poi il problema del libro da leggere sotto l'ombrellone, il mattonazzo bello pesante ma che descrive bene la realtà perlomeno alle giovani donne trentine che usano il Pc e che è stato scritto dal noto guru dell'innovazione di Kabul, Khaled Hosseini detto "il Coelho de' noartri editori filantropici", è di incidere sul Pil. Te pareva...

Grazie Corriere, senza di te (e senza le tue croniste) non saprei come fare ad addormentarmi sereno.

È tutto il solito magna magna

QUANDO VAI IN Lombardia, pensi che le cose saranno diverse da com'erano al paesiello. Qui ci sono gli operosi lombardi con la schiena dritta: non parlo dei milanesi ma proprio dei montagnardi o dei valligiani o di quelli della piana del Po. Ci credete? Nah, son tutte storie: è sempre il solito magna magna, a qualsiasi latitudine.

Io che sono qui da un po' e questa idea, in tutta franchezza, non ce l'avevo, attendevo una prova esemplare da mostrare alle folle centro-meridionali. E infatti, anche per chi invece fosse arrivato in settimana e coltivasse ancora la sua illusione di una "differenza settentrionale", consiglio di dare un'occhiata qui e qui e poi all'articolo di Repubblica:

La storia in salsa leghista l’avreste mai letta? Ebbene qualche camicia verde ha pensato di stampare un libro di fumetti sulla storia della Lombardia distribuito nelle scuole elementari e pagato a spese dei contribuenti (103mila euro per la precisione).

In mano è un sostanzioso libro in formato A4 e i fumetti non sono certo disegnati da Raffaello. Scrive Repubblica: i soldi sono stati tutti stanziati dal consiglio regionale nella passata legislatura presieduta dall´attuale sindaco di Varese leghista Attilio Fontana. Varesino anche l´editore scelto: Pietro Macchione che però non ci sta e prova a difendersi.

(Marco Trabucchi)

We'll see in Court

UNA DONNA HA deciso di far causa alla Consolidated Edison, l'azienda che gestisce il sistema di tele-riscaldamento di New York, a causa dell'esplosione della scorsa settimana (in molti avevano temuto fosse un nuovo attacco terroristico). Dice lei: "Mi ha fatto tornare in mente ricordi terribili: è stato traumatizzante".

Invece, sullo stato della sicurezza area nel mondo (e soprattutto negli Usa) con in più una drammatica considerazione sulla fine della civiltà Occidentale in caso di secondo attacco terroristico, c'è questo straordinario documento

Recalling World War II, the Japanese didn’t surrender after Hiroshima because they believed there was only one atom bomb. It was only after another bomb hit Nagasaki — after we proved we could do it again — that their country collapsed. Similarly, another successful 9/11 would devastate our country in ways we can’t even imagine — probably much more than the first attack, as we realize they can do it again despite our “best” efforts.

Il problema degli attacchi terroristici utilizzando gli aerei civili è ancora attuale perché si tratterebbe delle "armi" più grosse a disposizione. Più avanti vi parlerò delle reali difficoltà ad avere tra le mani un'atomica. E poi, riguardo gli aerei civili, ricordiamoci che il sistema aeronautico mondiale è davvero troppo grosso e complesso per potere essere realmente messo in sicurezza. Non credete che sia poi così grosso? Beh, i numeri non sono molto diffusi, ma vale la pena leggere cosa dice al riguardo sempre il tipo di cui sopra:

At this moment, there are roughly 5000 commercial airliners in the skies above you. There will be 28,000 flights today, and 840,000 in the next month — every month. The U.S. fleet consists of some 6000 aircraft — almost all of which will be parked unattended tonight at a public airport. We will carry almost 7 billion passengers this year, the number increasing to 10 billion by 2010, barring an exogenous event like another 9/11.

There is simply no deployable technology that has a prayer of keeping a motivated, prepared terrorist out of the system every time — even most times. TSA misses more than 90% of detectable weapons at passenger checkpoints in their own tests, and it is not their fault, because of the limitations of technology and the number of inspections they must conduct. This doesn’t count several classes of completely undetectable weapons like composite knives and liquid explosives.

23.7.07

La partita perfetta

MI SONO SVEGLIATO stamattina ed ho pensato che - tra le molte altre cose che non potrò più essere per sopraggiunti limiti di età - c'è quella di giocatore di golf. Sport d'élite che però sa appassionare (ad esempio, il buon Yorker) e che poi - con la nascita del professionismo - tanto di élite non è più.

C'era stato, un po' di anni fa, un film (La leggenda di Bagger Vance, che non ho visto) sul tema. Anzi, più d'uno, visto che oltre alla Gran Bretagna, all'Olanda (dove pare sia stato inventato) e al Giappone sono gli Stati Uniti la vera patria del gioco e quelli farebbero film su qualsiasi cosa. Ci sono stati anche personaggi nostrani, come la nizzarda Sophie Sandolo diventata popolare per un paio di calendari tutti "tette e mazze".

Poi, c'è questo libro di Mark Frost, The Greatest Game Ever Played, una superba storia di per sé che mi dicono essere stata magistralmente raccontata. È uno spaccato di quella partita degli Open americani del 1913 in cui scontrarono il campione britannico di umili origini Harry Vardon, adulto, e il giovane americano di ancor più umili origini Francis Ouimet. Nel racconto c'è la biografia sportiva, ma anche l'immagine storica e sociale di un periodo, l'eterno dramma umano, il confronto fra sogni e generazioni diverse. Paroloni i miei, ma rendono l'idea che in questo libro pare ci sia fondamentalmente l'Epica, superdocumentata come i tempi moderni richiedono (tanto la carta costa relativamente poco e le fonti sono sempre copiose) ma tale da rendere il volumetto una storia più che leggibile anche per chi non ha nemmeno l'idea di come funzioni il golf. In inglese, of course e secondo me passibile di riduzione per il piccolo schermo o magari anche per il grande.

L'unica pecca, nella sudata mattina d'estate, è che io - questo lettore - non potrò più essere un giocatore di golf per sopraggiunti limiti d'età. O forse no, chi può dirlo?

La panchina

LA CONSIDERIAMO UNA cosa da vecchietti, da pensionati, ma in realtà è uno fra gli strumenti più utili nelle città e un portatore di significato non da poco. A Milano, ad esempio, ce ne sono poche rispetto a Firenze, mentre negli Usa praticamente si trovano solo nelle piazze; e anche lì, non sempre.

Io adesso mi sto oziosamente interrogando su quale sarà la panchina di quest'estate. Niente è ancora deciso e soprattutto le mete a quanto pare vengono rivoluzionate da una "bonaccia" di viaggi lavorativi che si può comparare solo con la tempesta interiore di carpiati e avvitamenti in più direzioni contemporaneamente. Voi che non siete Giovani Autori non potete capire, ma questa è la stagione della spremitura completa: ogni minuto son neuroni che se ne vanno. Però a pensarci bene è anche un fatto positivo questo non viaggiare per lavoro, perché così la possibilità di abbattere uno dopo l'altro i mostri che avanzano verso di me aumenta.

Tornando alla villeggiatura, oziosamente mi chiedo: chissà qual è la panchina che mi attende.

Le panchine le consideriamo sempre come parte di una città o quantomeno di un paesino, anche se poi non è necessariamente così. Ci sono anche panchine in mezzo ai boschi, sui sentieri, tra le pinetine e gli abeti, che mirano il mare oppure i monti. Però le cerchiamo, soprattutto io, soprattutto nelle città. C'è un motivo, almeno per quel che scriveva Italo Calvino nelle Città invisibili. E cioè:

D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

E questa domanda oggi è: sarai tu, città già stampata sul mio biglietto d'aereo, a contenere la mia prossima panchina?

22.7.07

Come? Di nuovo domenica?

COME PASSA IL tempo, eh? È già il momento di Doonesbury di Gary B. Trudeau...

21.7.07

De Cinquecento...

PERCHE' LO SPOT della Cinquecento è brutto (o meglio, inquietante) e l'intera operazione puzza di bruciato lontano chilometri? Beh, il fatto di voler piazzare nelle case degli italiani un'idea giocando esplicitamente con un'emozione legata alle memorie antiche - anche se poi la Cinquecento la fanno in Polonia, come a suo tempo la 126 - non sarebbe così scorretto. Anzi, potrebbe essere una buona idea. Peccato non sia quella, però, la cosa di cui stiamo realmente parlando. Guardate lo spot qui sotto e ditemi: cosa ci vedete?



C'è l'appartenenza ad una moda, ad un certo manierismo dello stile scelto per girare lo spot, tanto per cominciare. Si tratta dello stile iniziata in Italia dalla pubblicità di Spike Lee con Telecom Italia avente a testimonial (involontario, oserei dire) Gandhi. Una pubblicità che, come buona parte dell'estetica del regista americano, ha un intenso afrore di fascismo: su questo però ci arriviamo tra un attimo. La pubblicità della Cinquecento e il suo posizionamento televisivo (oltre che web) gioca sul tema della intensa voglia di stabilire un contatto con un universo di valori sepolto in cantina, un universo impolverato e privo di tutte le contraddizioni dei tempi odierni. Anzi, la pubblicità della Cinquecento ci spinge a dimenticare le nostre contraddizioni (l'immigrazione, le città che non appartengono più a noi italiani bianchi un tempo ragazzi o bambini, la violenza della competizione, la disoccupazione, la flessibilità, l'alienazione che ci ha rubato i sogni di un futuro migliore, la mancanza reale di un futuro migliore, l'etica evaporata, il distacco dalla sfera politica, la mediocrità allucinante della classe dirigente, la furba ipocrisia di chi vende l'innovazione come ricetta taumaturgica) promettendoci con viltà quei nostri quattordici anni che invece non torneranno più. Promettendoci quel mondo quando il nero e il bianco non erano solo i colori delle immagini televisive ma anche le uniche, vere opzioni disponibili. Dimentica però di dirci che crederci non solo vuol dire camminare con la testa all'indietro, che è una menzogna rispetto all'oggi drammatico, ma anche che neppure ai tempi era tutto realmente così nero e bianco. Cioè: è anche un falso storico

Lo spot di Telecom Italia al quale accennavo prima, invece, era a sua volta figlio di una moda allora emergente, quella del lavorìo del pubblicitario sulle "emozioni" e sui "valori", tutti e due contemporaneamente. Ma valori ed emozioni che rasentavano il totalitarismo. Almeno, se si vuol guardare il mezzo oltre al messaggio (peraltro incomprensibile). Folle di umanità passiva, raggiunta ovunque e sottoposta al bombardamento del pensiero unico: la pace, il cuneo fiscale, l'ambiente, il vincitore dell'isola dei famosi, il discorso alla nazione. Non occorre essere un anarchico nato a Carrara per provare brividi profondi lungo la spina dorsale. Eccolo qui sotto, il "capolavoro" della società dei furbetti:



Quali erano gli originali che avevano guidato la deriva? Ci sono molteplici studi che raccontano come la comunicazione pubblicitaria si sia evoluta nel corso degli anni. Quali siano state le principali tendenze e gli obiettivi. Di solito, c'è una sorta di legame tra la società nella quale lo spot viene concepito e l'azienda per la quale viene concepito. È un gioco complesso, perché tocca aspetti anche politici (quello della Cinquecento, ad esempio, gronda di politica e non c'entra un bel niente il posizionamento del prodotto o dell'azienda stessa: ma non voglio divagare). Quello a cui i testi del settore fanno riferimento di solito è il Think Different di Apple, concepito al rientro di Steve Jobs nell'azienda dopo sedici anni di "esilio". E quando era "fuori", l'azienda aveva perso visione del mercato, identità, missione, quote, fatturato. L'idea era quella di ristabilire con un unico spot tutto questo: ridare una identità all'azienda, ai suoi prodotti e ai suoi clienti. Niente tentativi di giocare con un immaginario che non c'entra con il prodotto: sano pragmatismo legato all'obiettivo ben chiarito e un'unica, decisa mossa. Qui sotto la versione con il doppiaggio italiano di Dario Fo (quella originale è qui).



Ci sono le interviste e i lavori preparatori di quella campagna che spiegano - molto più che non le interviste inginocchiate della stampa torinese e del nord Italia all'iperattivo a.d. olista Marchionne - quale lavoro e quali spinte ci fossero dietro alla campagna di Apple. È un esempio della capacità di costruire storie nelle storie, di narrativizzare anche la costruzione dell'evento.



È un peccato che la mossa di Fiat sia così bassa e in difesa. Il grande rilancio, a prescindere dai modi con i quali è stato ottenuto, era una scommessa importante. Richiama un'estetica di care, piccole cose di cattivo gusto e un passato che - francamente - pensavamo fosse solo questo: passato. Ma forse c'è chi vuole che ritorni.

Se non avete più idea di quale mondo sia, Porta a Porta lo ha encomiasticamente esumato e si trova qui sotto: un mondo di neo-borghesucci piccoli piccoli e poveri poveri. Che sogno meraviglioso...



(ps: quasi dimenticavo. Se proprio volete copiare "Think Different" alla fine dello spot, cazzoni maledetti, non dovete far vedere il prodotto! Sennò ci fate una figura da coglioni come questi...)

19.7.07

Pippe mentali in formato digitale: Twitter

OTTOMILA ANNI DI evoluzione tecnologica, centinaia di migliaia per quella biologica, e siamo arrivati al sesto senso via Twitter. Però...

Je suis un Blog-trotter

AL TELEFONO, POCHI secondi fa, un'amica mi dice: "tu che viaggi tanto, sei un vero blog-trotter". Io, per non saper né leggere né scrivere, rivendico la proprietà, il possesso e il diritto d'autore su questa espressione. Sono un blog-trotter!

Voglia di vacanza

VOI DOVE ANDATE quest'anno? Cosa fate nei mesi caldi? A me viene fame...

18.7.07

Un'estate al mare

CON UN BLITZ a largo La Foppa (uno degli angoli "di tendenza" a Milano: ci abita anche Corona) ieri sera oltre al caffè ho comprato anche Un'estate al mare, il romanzo appena uscito di Giuseppe Culicchia. A me Culicchia piaceva dai tempi andati, con la sua straordinaria capacità di cogliere qualcosa che vedo tutti i giorni e al quale tendo a non saper dare un nome. Neanche lui offre nomi, ma racconta storie che restituiscono quel qualcosa. Insomma, il libro è divertente e scritto in maniera scorrevole, ma alla fine placa anche l'indignazione del quotidiano per simpatia e catarsi. Che vuoi di più?

Beh, largo La Foppa la sera è popolato da parte di quell'umanità strafiga "in vacanza nel centro di Milano" che passa sullo sfondo di Un'estate al mare, anche se l'ambientazione è all'altro capo dello Stivale, vale a dire in Sicilia: c'è comunque il sapore da iper-realismo dell'estate odierna e quello virato seppia della estati della nostra fanciullezza. C'è un'idea e c'è il piacere - mio - di comprare il libro ancora in edizione rilegata (di solito aspetto le economiche) nel contrafforte della libreria Utopia e la trasgressione di leggerlo subito tutto d'un fiato ieri sera, passando avanti ai ponderosi tomi in attesa nelle varie pigne casalinghe, così come si passa davanti all'umanità tossica "in vacanza nel centro di Milano" per comprarlo. Figata.

Sono duecento pagine edite da Garzanti e vendute a 15,50 euro che se ne vanno via in un lampo. Lasciando soddisfazione. Consigliato vivamente a chi vuole farsi una lettura semplice e senza dolori. Ne rimarrà fulminato

Ecco il finale dei finali di Harry Potter

L'ULTIMO ROMANZO DELLA serie Harry Potter è stato "scannerizzato", anzi fotografato pagina per pagina (da un pazzo, probabilmente) e immesso nella parte oscura della rete: BitTorrnt, Usenet, mIrc e via dicendo. La notizia, però, è che adesso sappiamo il finale. Anzi, più di uno, visto che ci sarebbero alcune versioni contrastanti su quale sia l'ultimo paragrafo che mette la parola "fine" alla serie. Eccoli qui:

Harry Potter e tutti i suoi amici sono in una tavola calda, è sera, si apprestano a mangiare "onion rings". Le seguenti, ultime trenta pagine sono lasciate in bianco

Il giovane Harry sta volando con la sua scopa sopra Hogwarts in formazione con altri tre amichetti quando viene dirottato e fatto schiantare contro la torre principale del castello scozzese. Il successivo libro (l'ottavo) parlerà delle storie dei pompieri che cercarono di salvare i giovani maghetti imprigionati nel crollo della fatiscente ed ambiziosa struttura, mentre il film sarà realizzato da Oliver Stone

Solo e abbandonato dagli amici, privo di poteri magici, Harry vaga sconsolato nella notte per la tundra scozzese sino a che all'alba non trova una panetteria appena aperta. Acquista dei panini ancora caldi di forno e li spezza annusandone voluttuosamente l'odore di cose semplici che emanano: basta alle magie e allo "sballo" della vita da mago a tutta velocità, è tempo di recuperare i sani valori agresti che sono nel suo Dna

Dopo che Lord Voldemort, per il quale è già prevista una trilogia dedicata alle origini del cattivo della saga, ha rivelato di essere il padre di Harry Potter, uccide il fantasma del preside Albus Silente, il vero cattivissimo sotto mentite spoglie per i primi sei libri, morendo a sua volta. Harry abbandona Hogwarts in fiamme e si ricongiunge ai suoi amici - scoprendo anche che Hermione è sua sorella - mentre lo spirito di Lord Voldemort si ricongiunge alla madre e al nonno di Harry, quest'ultimo aggiunto in post-produzione per consentire la realizzazione di uno spin-off televisivo

In un duplice finale a due stadi, trasmesso "live" prima sulla costa Est e poi su quella Ovest degli Stati Uniti, Harry ed Ermione capiscono che le loro strade non si incroceranno mai più. Salto in avanti, è il primo giorno di scuola ad Hogwarts: due nuovi maghetti al primo anno si conoscono e nasce un idillio tra i banchi e le bacchette. Sono in realtà i figli di Harry, contabile negli Stati Uniti, ed Ermione, sposata ad un ricco possidente australiano. Il fidanzamento dei due giovani è l'occasione per far reincontrare tutta l'allegra brigata di Harry, invecchiata alla bell'e meglio. Qualcuno è pelato, molti tra gli anziani sono morti, i cattivi alla fine si sono convertiti dopo adeguato lavoro con i servizi sociali. In un pub, nella penombra, viene celebrato con un ultimo brindisi la vita che è fuggita via rapida ed ha lasciato solo foglie secche e miliardi di sterline a JD Rowling

Harry, lasciato solo da tutti e da tutto, infelice ragazzo-padre abbandonato anche dalla prole dotata di poteri magici e senza più la sua fidata nutrice di colore Mami, vede persino Hogwarts comprata da uno spietato speculatore che la trasformerà nell'hotel a sei stelle "Tara". Ermione, dalla prigione, gli ha appena scritto di aver avviato una storia lesbica per la quale chiederà di avere la dispensa di Albus Silente e celebrare un Pacs, un Dico o come cacchio si chiamano ora. Mentre stappa l'ennesima bottiglia di Gin dozzinale Harry, gli occhi velati dal bianco della cataratta, rivolge il suo profilo devastato dall'acne giovanile all'orizzonte e sussurra: "Porca puttana, domani è un altro giorno". The End

Harry lotta come un leone contro Lord Valdemort che si oppone alle sue promesse nozze. Si inseguono e si scontrano in una Scozia devastata da un'epidemia di acne purulenta, con nuovi amici che aiutano il giovane Harry e nuovi nemici che lo ostacolano (soprattutto perché voglino farsi la di lui fidanzata, una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie. Infine i due promessi tornano al paese, si sposano e si trasferiscono nel Bergamasco. Hanno anche una figlia che chiamano Maria.

Dopo aver vagato in compagnia di loschi ed equivoci figuri attraverso un inferno di avversità, un Harry Potter oramai tossicodipendente attraversa gli altri due stadi del recupero di sé - evidente metafora della dipendenza da cocaina di JD Rowlings e dei due anni passati in una comunità arancione per disintossicarsi - vedendo prima coloro che hanno speranza ed infine i beati che godono della migliore terapia e di forti dosi di metadone pagati dalla locale Asl. È il fantasma di Kurt Vonneugt, insieme ad una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie, a spiegare ad Harry il significato metafisico del suo viaggio. Infine, aprendo un tombino in una strada laterale di un piccolo centro scozzese vicino ad Hogwarts, Harry oramai "ripulito" rimane abbagliato dagli astri notturni e il libro si chiude con la sua ultima frase: "E alfin uscimmo a riveder le stelle".

Una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie, la vera protagonista dell'ultimo volume, dopo aver adottato un branco di bambini laosiani orfani con età variabile tra i 30 e i 45 anni (tanto gli asiatici sembrano tutti più giovani), scopre che anche suo marito, Harry Potter, ha in realtà un secondo lavoro come agente segreto per una differente organizzazione. Dopo un'epocale litigio in casa e poi un inseguimento in autostrada, causato dalla rabbia di Harry che scopre di avere adesso circa 108 figli legali per colpa della straordinaria e dolcissima generosità di Angelina Jolie, i due finiscono a prendersi a colpi di bazooka in una spiaggia isolata. A quel punto Harry, rimasto solo, perde la memoria. Vagando per Parigi scopre che una giovane americana con una Mini cooper prima serie lo può aiutare a recuperare la pace e un po' d soldi, sfida un cecchino a trovare l'ago in un campo d grano e poi si trasferisce su un'isoletta greca. Successivamente, dopo un trasloco in qualche paradiso tropicale del mediterraneo, un sicario russo uccide la sua nuova amica e a rimettersi in pista per recuperare la sua identità e fare un mazzo quadrato da solo a tutta la corrotta struttura della Cia. Girerà come una furia l'Europa sino a Mosca, spiando la gente dai tetti e andando a riempire di mazzate gruppi di agenti sino a che, appagato, non si allontanerà. Solo in apparenza, però, dato che non perderà mai la tentazione voyeristica di andare a spiare dal tetto del palazzo di fronte una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie, telefonandole per sussurrarle con voce roca com'è vestita.

Dopo anni di peregrinazioni, sfidando avversari magici e vincendo soprattutto le sue paure interiori, Harry finalmente riesce a tornare a Hogwarts. È triste per la perdita di Ermione, ma felice della sua intima convinzione che la straordinaria e dolcissima Angelina Jolie, da anni sua sposa diletta e negletta per le peregrinazioni di cui sopra, lo attenda fedele. In una casa piena d punkabbestia acquartierati che bevono le birrette e mangiano i quattrosalti in padella della dispensa, arriva Harry travestito per l'occasione da mendicante. Sfida subito ad una gara di Playstation il più cazzuto del branco, Lord Voldemort - che pare avesse una storia di solo sesso con una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie - strozzandolo con il filo del joypad. Massacra gli altri e finalmente riprende il ruolo di pater familias che gli spetta, anche se prima deve convincere il vecchio padre - un irriconoscibile Albus Silente - di essere veramente Harry. Gli altri abitanti di Hogwarts, incavolati per l'inutile sperpero di vite e per la trama debole, lo affrontano come una folla inferocita sulle scale di casa, ma il provvidenziale intervento di una straordinaria e dolcissima Angelina Jolie saggia tessitrice di relazioni sociali con indosso una corazza di pelle di capra chiamata Egida donatale dal padre e un paio di Nike di qualità, riesce a stemperare gli ardori e ricondurre tutti agli affetti casalinghi cantando "Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto" insieme a Groucho e Chico Marx mentre Harpo li accompagna prima con il pianoforte e poi con uno straordinario e virtuosistico assolo d'arpa.

Ecco, se ne trovate altri anche a voi, potete aggiungerli nei commenti. Poi il 21 vediamo chi aveva ragione...

17.7.07

A cena fuori

SONO STATO A cena fuori. Ho mangiato bene, bevuto, mi sono divertito (non guidavo io, fortunatamente per i responsabili della cronaca del Corriere). Mi sono convinto di una cosa: il problema non è il narcisismo, è invece l'ipocrisia. Mia, per primo, ma vostra in primissima analisi. Cioè, siete degli ipocriti bastardi.

Poi, domattina mi passerà, ma adesso è una monolitica convinzione. Tenetela, come il discorso del pazzo del villaggio. Ve ne fregasse qualcosa.

16.7.07

Endiadi

MANTELLINI, CHE DA rigoroso ermeneuta della società e della rete si astiene dalle illazioni, richiama l'attenzione solo sul nome dato all'indirizzo dell'intervista odierna di Giuseppe Turani (La Repubblica) ad una delle teste d'uovo di Vodafone (quello che una volta chiamavano URL). Il nome della pagina è infatti "002kazzone.html". Io però, da cronista, mi chiedo: a chi pensava l'anonimo tecnico web del noto gruppo multimediale?

Scaviamo un po' la notizia offrendo il contesto. Di cosa parliamo? Le interviste di Turani si gustano meglio se si eliminano le risposte (sennò che divertimento c'è). Vediamo com'è venuta questa, effettuata al potente della telefonia di turno:


Telefonini: con tre mosse Internet è diventata mobile

Nuovi terminali più potenti, i grandi del Web, da Google a eBay che rendono i loro portali più accessibili dai cellulari e infine le tariffe ‘flat’ che abbattono i costi

di Giuseppe Turani

«...».
Paolo Bertoluzzo, direttore generale di Vodafone Italia, ingegnere gestionale (Politecnico di Milano) e master all’Insead di Fontainebleau, ha in tasca un paio di telefonini con i quali comincia a farmi vedere le meraviglie. Siamo a Milano, in centro, e la velocità di connessione è effettivamente molto rapida. Si diverte a farmi vedere, attraverso il servizio di Google Maps il mio ufficio «Adesso comincia la stagione in cui «always on», sempre connessi, sempre in rete, comincia a avere un senso».
Ma perché proprio in questo momento, e non il mese scorso o in autunno?
«...».
Ad esempio?
«...».
Tutti lì che girano su Internet con il telefonino?
«...».
Lei diceva prima che sono arrivate «le cose» che servono per fare Internet con il telefonino. Di che cosa si tratta?
«...».
Ci saranno anche dei telefonini nuovi, adatti a navigare su Internet.
«...».
E infatti Bertoluzzo a questo punto tira fuori un Samsung un po’ anzianotto e mi fa vedere come si naviga su Internet. Va sul sito di Repubblica, su quello del Corriere, e poi su Google Maps. E va anche, attraverso Google, a cercare il mio nome sulla Rete.
Qui ci mettiamo un po’ di tempo, ma alla fine si scopre che ci sono più di 11 mila citazioni. E quindi il ritardo era giustificato.
In effetti, dico, anche con un vecchio telefonino si naviga abbastanza bene. Quelli nuovi che cosa hanno di diverso?
«...».
Rimane il fatto che andare su Internet con un telefonino è un’esperienza spesso deludente. Ci vogliono delle ore per vedere quello che c’è su una sola pagina.
«...».
Ad esempio?
«...».
Insomma, tutti fanno qualcosa per portare Internet sul telefonino. I costruttori di cellulari stanno mandando nei negozi le loro nuovissime Internet machine, i grandi player stanno adattando i loro siti, e così via. E gli operatori di telefonia cellulare, invece, che cosa stanno facendo?
«...».
E che cosa altro avete fatto?
«...».
E poi c’è il discorso delle tariffe. Immagino che navigare su Internet con il cellulare possa essere un’esperienza dolorosa per le finanze di ciascuno di noi. Insomma, magari divertente, ma molto costosa.
«No. ... E poi vedrà che con le nuove «Internet machine» sarà anche divertente, oltre che bello. Insomma, ci vediamo tutti in rete».


Ecco: una intervista che definire un piccolo classico del Turanimestiere, soprattutto per la lucidità di chi ha il telefono aziendale e non sa quanto costi fare una telefonata o aprire una pagina web sul cellulare (la versione postmoderna del prezzo di un litro di latte). Se l'anonimo tecnico web del noto gruppo multimediale ha fatto il liceo classico, forse con "002kazzone.html" intendeva esprimere la raffinata figura retorica dell'endiadi.

(Mi viene in mente che questo se beccano lo licenziano in tronco; poi ci resta sulla coscienza a Mentellini e a me...)

Collezione primavera-estate 2007

DOPO LA CAMPAGNA sulle anoressiche della moda e quella sugli sprechi e i privilegi della casta politica (che apre la porta all'anti-politica via Internet), adesso è la volta delle stragi in auto provocate da automobilisti ubriachi. E poi? Suggerisco:

Il cane dei vicini, che si lamenta (povera bestia) quando lo maltrattano

La polvere dei tram, usata per frenare, che forse non fa bene ai polmoni

Al nord il caffè al bar te lo danno senza il bicchier d'acqua (ma è da bere prima o dopo?)

Volare sicuri o volare con il dentifricio, la crema per il viso e il dopobarba?

Anche gli uomini hanno la sindrome premestruale, solo che gli dura tutto il mese

15.7.07

È domenica: Doonesbury di Gary B. Trudeau

Come ogni settimana, cliccando s'ingrandisce.

Virgin Radio

DA TRE GIORNI non sto più cambiando canale alla radio, la mia fantastica radio per single (cioè, mono). Cosa che in realtà vuol dire molto poco, perché sono pigrissimi anche per girare la manopola della sintonia... Comunque, tanta musica per "tardoni" come me, tutta in inglese così il testo comprensibile dei melensi nostrani non distrae la concentrazione dalla sudata scrittura estiva, e pochissimi loquaci speaker - che odio sopra ogni cosa. Spero infatti con tutte le forze che Paola Maugeri, incapace di leggere anche i suoi cacchio di "appunti" di storia del rock privi di senso comune, sia la prima a saltare passata l'estate. (Tié, piattola, tornatene a quella marchetta con le ruote che è Mtv!)

Sfoghi a parte, il fascino del logo di Virgin Radio è dato dall'alchimia sopraffina tra la stella rossa e il suo creatore, Sir Richard Branson. Avevo anche letto la sua autobiografia, tempo addietro, e sono in ogni caso incantato dal sopraffino imprenditore, di cui nel mio piccolo ho anche tracciato un breve profilo qualche anno fa. Sapevo però che non sarei dovuto andare in rete a cercare un po' di background per questo post. Al posto di Sir Richard, infatti, sono saltate fuori le nostre piccinerie da mercatino della sera:

Alle 12 di oggi è stata inaugurata Virgin Radio Italia, il nuovo network nazionale nato sulle ex frequenze di Play Radio. La campagna di comunicazione sarà divisa in due fasi: la prima per farsi conoscere (fino a ottobre), la seconda per spingere sulla connotazione e il posizionamento. “Saranno spesi 9 milioni di euro tra above e below the line – ha dichiarato Paolo Salvaderi, corporate e marketing communication manager di Finelco -. Tra luglio e agosto spenderemo 5 milioni e tra settembre e ottobre altri 4 puntando soprattutto su affissioni e stampa. Non siamo interessati, in un primo momento, alla tv. Con il web partiremo dopo ottobre”. Rcs sarà un naturale partner della comunicazione con mezzi forti come Gazzetta, Corriere e City oltre che con settimanali e mensili. Ad inaugurare le trasmissioni la versione rock di “What a Wonderfull World”. L’obiettivo della radio sarà raggiungere, nel 2008, 2,5 milioni di ascoltatori e di fatturare dai 12 ai 15 milioni di euro.

Dopotutto, c'è riuscita solo la Walt Disney a passare dalla opacità totale di comunicazione all'apertura verso i Maestri Disney (in quote uguali tra italiani e americani, più qualche altro). Ma questa è un'altra storia...

14.7.07

Link: pubblico e televisione

È USCITO IL nuovo numero di Link, la rivista (sembra un incrocio tra Limes e Micromega, ma la fa Mediaset) dedicata allo studio e alla riflessione sulla televisione. Non a caso è sottotitolato Idee per la televisione. In questo nuovo numero cinque, intitolato Pubblico e Tv: Dress Up Your Audience (la copertina è geniale, come sempre), il tema è quello dei nuovi mezzi che stanno cambiando il pubblico. Televisione digitale, web tv, iPod, P2P.

Per gli appassionati che vogliano seguire le tracce cartacee del Giovane Autore, magari chessò: fanno collezione dei suoi sudati scritti, qui c'è trippa per gatti. In particolare, ho scritto tre o quattro cose tra cui: La semplicità possibile dedicata allo studio del successo dell'iPod e Nuovi cavalli di Troia che ipotizza le console per videogiochi come fattore di successo nella proposizione di contenuti in alta definizione per i nuovi schermi tivù, costosi e sottoutilizzati. È roba scritta intorno a dicembre-gennaio, ma sempre valida...

Tommaso Tessarolo è uno tra i blogger (ci scrive anche lui, su questo numero di Link) a cominciare la conversazione su questo numero insieme ad altri, come leender che esprime sostanzialmente quella che è stata la mia impressione quando ho iniziato a lavorare con la redazione di Link: Prima quasi non sapevo che esistessero (a parte "Mediamorfosi"), e vista la loro appartenenza a un mondo da me molto distante non mi attendevo nascesse nulla, ed invece… le persone che ho incontrato non erano ne mostri “vendi-reality” ne mostri “internert-è-pornografia”, quindi abbiamo ragionato sulle idee (e non sulle rispettive appartenenze o visioni del mondo preconcette) e -dal confronto- è venuto fuori più di uno spunto interessante.

(La redazione di Link vuol poi dire tre persone, tra i quali spicca il mio straordinario amico Fabio Guarnaccia, insieme all'ottima direttrice Laura Casarotto e all'altrettanto brava Elena Cappuccio. Il capo supremo si sussurra che sia Marco Paolini).

Tra l'altro, proprio Mediamorfosi, che è uno dei numeri "focus" (speciali?) di Link, ha visto il mio esordio, che poi si è consolidato su quelle pagine con un capitolo di una ricerca portata avanti con Francesca Pasquali per l'Osservatorio sulla Comunicazione e pubblicata all'interno dello straordinario (lasciatemelo dire, perché il mio contributo è stato minimo) volume Link-Ricerca (la terza collana di Link) intitolato Successi culturali e pubblici generazionali (curato da Piermarco Aroldi e Fausto Colombo) che come filo della ricerca nella sociologia dei media e dei processi culturali rappresenta secondo me un unicum assoluto. Leggere per credere. Qui magari ci ritornerò più avanti, perché (ahi, quanto son stato pigro quest'anno) ne vale davvero la pena.

Per Link... beh, con un po' più di coraggio - ad esempio dandole un'apertura ancora maggiore sulle tematiche e mantenendo la ricca grafica attuale - Link rischia di diventare davvero una vera rivista di tendenza straordinaria. Almeno, un grappolo consistente dei miei carpiati con avvitamento di quest'inverno hanno avuto un senso. Pensa te la vita alle volte...

Orgoglio MACity

TUTTE QUESTE PIPPE snob e con la puzza sotto il naso: mi avete proprio stufato. Vi ruga che l'iPhone sia esploso come una bomba atomica? Vi ruga quando il giocattolo non è per pochi eletti però voi potete solo annusarlo? Vi ruga perché il bastiancontrario da salotto dovete farlo di mestiere? Allora andate a farvi le pippe "ma i blog sono il senso della vita, o la vita è un blog?" o magari fatevi candidare da qualche parte. Tzé!



(Ogni tanto mi diverto a scrivere queste rantolate perché i legittimi destinatari sono così stupidi e pieni di sé che neanche se ne accorgono. Che ci volete fare, siamo noi fiorentinacci, con questo spirito un po' così. E comunque, se vi sentite chiamati in causa, è sempre la mamma che si è impadronita della tastiera – lei un blog suo non ce l'ha...)

11.7.07

"Flip-flop little stone" (cioè "sassolini delle infradito"; ehm... se m'è venuto così, che ci posso fare)

QUALCHE PICCOLA CONSIDERAZIONE come sempre a margine del resto del mondo. Il dibattito sulla tivù come buona o cattiva maestra. C'è chi dice che in Italia il telefilm è il contenuto "letterario" di riferimento dei giovani autori di libri (avete presente chi ha vinto l'ultimo Strega?) con tutti gli effetti negativi, sia linguistici che anche culturali, che questo "abbattimento della qualità degli esempi" comporta. A me piace citare questa frase di Anna Mioni (trovata in questa straordinaria miniera di interviste spaziali ed etiliche), che è la traduttrice di Avverbi (lo citavo qui).

Pare che molti scrittori italiani contemporanei (per loro stessa ammissione) siano quasi più influenzati dalla lingua degli autori americani (e cioè dalle traduzioni, perché non tutti li leggono in lingua originale) che non da quella dei predecessori italiani. Questo avvicina, quindi, la lingua letteraria a quella della traduzione.

Primo sassolino: non è che più che la televisione il problema è il catalogo di Rizzoli, Mondadori e compagnia? Fatevi un giro in libreria a vedere quanti titoli italiani - a parte Faletti e Camilleri - trovate. O meglio, fate un giro sullo scaffale/gli scaffali di casa vostra (dopo aver escluso i libri che vi hanno fatto comprare alle medie e le istruzioni del micro-onde).

Secondo sassolino: il pubblico che non guarda più la televisione. Anzi, i "pubblici", al plurale. Non si tratta della distruzione, anzi della fine totale palinsesto. Robe da apocalittici disintegrati. No, per me è una cosa diversa: parliamo di interruzione del flusso. In effetti, il palinsesto della tivù nostrana (e non solo) è oramai diventato - grazie al telecomando, ai registratori digitali etc. - una cosa che sta a metà strada tra chi trasmette e chi guarda. In più, prendete il mio caso singolare (anche se il singolo non fa mai testo, io poi meno che mai) e pensate al fatto che non guardo la televisione eppure scrivo tantissimo di televisione. La guardo o la leggo? Certo, la leggo sui giornali e sui siti web (se ne parla a vanvera e tantissimo), ma soprattutto la scarico. Tutto legale, tutta roba americana, però il punto è che il palinsesto, se vogliamo personalizzare il termine televisivo dalla parte del consumo personale e non dell'emissione - paragonandolo così ad una parte video della dieta mediale –, me lo faccio da solo e lo compulso senza bisogno di accendere il televisore. Dopotutto, televisione e televisore sono due cose diverse no?

Terzo e ultimo sassolino: torniamo sempre ad Anna Mioni (che ormai non mi sembra più solo una gran traduttrice), in un'altra ma diversa tranche dell'intervista di cui sopra, dice:

Quale, aldilà delle singole occasioni linguistiche, la difficoltà di fondo nel tradurre Handler?

È stato difficile rendere fedelmente certi suoi stilemi, come quello di forzare la lingua verso il registro tipico del parlato (con la sua sciattezza voluta); o l'ironia basata sui doppi sensi e sugli slittamenti semantici (un umorismo più anglosassone che mediterraneo); il senso del grottesco suggerito da certi intercalari, che abbassano il tono dal sublime letterario al "terra terra" quotidiano, come se l'autore prendesse poco sul serio i suoi personaggi, e di riflesso anche se stesso.
Insomma, caratteristiche che cozzano in parte con l'idea di letteratura "alta", in cui si riconosce però un trait d'union stilistico dei 30-40enni americani post-moderni. È difficile riprodurle in italiano senza il rischio di far sembrare la lingua poco curata. Ho cercato di far capire al lettore il lavorio mentale che sottende scelte solo in apparenza semplici.


Ecco, prendete l'ultima parte: È difficile... eccetera. Non vi ricorda qualcosa? Non vi fa risuonare tanta di quella frittura blog (alla quale peraltro partecipo anche io) fatta di "Signora mia" e "Magari anche no" e via dicendo? E non vi sembra che sia modello anche di giornalismo "giovine e sveglio", che non si prende mai sul serio e che ha sempre la battutina giusta (oltre alla concinnitas eletta a sistema) di tanti eroi cartacei delle pagine di riviste e quotidiani innamorati del cazzeggio? Siamo tutti diventati una razza di cazzeggiatori? Di narcisi dalla tastiera facile? Di brillantoni che vanno sempre di fretta? Di esteti dell'epigrafe post-moderna?

Al riguardo, ho anche trovato questo signore che sostiene la necessità (anche argomentata con un certo dispiego di scienza statistica) di non scrivere post di blog ma articoli. Nell'ecologia della mente il post influisce negativamente sulla capacità di analisi, nell'economia della rete non paga come strategia soprattutto se uno è molto competente e nell'ecologia dell'informazione oltretutto i post inquinano cospargendo il web di frammenti dadaisti che fanno schermo verso i siti con "qualcosa da dire" di argomentato.

Ecco, adesso mi rimetto le mie scarpe e dell'avidità del mondo della rete se ne parla in una prossima puntata.

10.7.07

Patologie da studiare

ERA IL SERVIZIO che volevo fare io, mannaggia. Adesso vaglielo a spiegare che l'idea non è stata scopiazzata dai soliti americani: danno 500 dollari ad un cronista perché voli quanto più può con una modalità particolare: Squeeze as many miles as possible out of those five bills, using the tricks and techniques invented by a subculture of airline hackers called "mileage runners" who specialize in accumulating frequent flyer miles at low cost.

Affascinante, io da tempo gioco con l'idea giornalistica di fare un giro del mondo non-stop con mille euro. Dopotutto i mileage runners sono i più grossi professionisti disponibili su piazza e Internet permette di sviluppare una comunità virtuale attraverso tutto il mondo (che poi vuol dire al 90% gli Usa e all'8% l'Europa, il resto sono spiccioli di mondo) per carpirne tecniche e segreti. E per non sentirsi afflitti da una patologia isolata...

Mileage runners are the high-tech nomadic wanderers of the air. Predominantly male, generally obsessed with flying and miles, and typically employed in white-collar careers that involve significant business travel, they scour the web for cheap flights, phoning in sick or using vacation days to fly the longest itineraries they can string together.



Comunque, mi piace questo passaggio dell'articolo: For mileage runners, getting there isn't half the fun -- it's the whole point.

Adesso sono sommerso di carpiati avvitati da fare, quindi per qualche settimana purtroppo non se ne parla. Ma, se vi va, possiamo provare a costruire insieme il primo reportage in open source del giornalismo italiano: lavoriamo tutti insieme con l'obiettivo di settembre per pianificare il mio viaggio intorno al mondo in aeroplano con meno di mille euro?

8.7.07

Nuovi orizzonti (notturni)

SARA' PERCHE' E' estate, oppure perché siamo sempre in una fase nuova della mia personale cosmogonia, fatto sta che si susseguono le esperienze alla frustrazioni, in un rapido rincorrersi. Senza contare i carpiati, che bussano alla porta neanche fossero dotati di una loro esistenza a prescindere dalle mie possibilità. Un po' come i libri che compro. E stiamo parlando di una cosa alquanto diversa dal dire "i libri che leggo". Con Mattia si ragionava l'altro giorno (proprio al riguardo dell'antologia di articoli dal Giappone di Indro Montanelli che trovate nell'etichetta libri proprio qui) sulla mole di volumi accumulati durante l'inverno e non ancora letti. Si potrebbe fare a meno di entrare in libreria per qualche mese (qualche anno, se vogliamo) prima di dare fondo alle scorte accumulate a casa: la pigna purulenta di fergusoniana memoria. Tant'è, qui c'è carne fresca.

Il primo pezzo, ed è quello pregiato, si intitola Non di sola arte. L'hanno scritto Giulia Bondi e Silvia Sitton, lo pubblicano le Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli al prezzo quasi ragionevole di 18 euro per 208 pagine. Non fatevi ingannare, anche se siamo nella saggistica, perché la scelta stilistica è di parlare come si mangia, ovvero in maniera comprensibile. E' il frutto del progetto di ricerca finanziato dalla borsa di ricerca Giovanni Agnelli per l'economia dell'arte contemporanea ed il sottotitolo spiega l'obiettivo del lavoro: "Viaggio in Italia tra voci e numeri della giovane arte contemporanea". Ho conosciuto - e moderato - Giulia Bondi a Roma qualche giorno fa nel dibattito organizzato dal Pogas (del quale la pigrizia ancora mi fa rinviare qualsiasi considerazione) rimanendo davvero stupito della sua lucidità e modestia. Mi diceva, ad esempio, che il lavoro è stato pensato e progettato dal suo alter ego Silvia Sitton, modenese e trentenne come lei. Tuttavia, insieme, e con la collaborazione di Alberto Samson, hanno costruito questo piccolo squarcio sul tema dell'arte contemporanea, la definizione di giovane artista (che a me come Giovane Autore ovviamente affascina), i mezzi di sostentamento, le vie di uscita di una passione intesa come mestiere (il mestiere dell'artista) oltre che come professione (la professione dell'artista). Un quadro bello e disegnato con grazia che dipinge una natura morta tetra e pure in buona parte sepolta. Il più grande complimento che posso fargli è che mi ha fatto venire voglia di fuggire (visto che questi sono giorni di maturità scolastica) al liceo, dove almeno le illusioni le potevi coltivare sotto la calda coperta familiare, senza il rischio di incontrare l'oggetto della tua ammirazione.

Il secondo pezzo è totalmente inesploso e odora di snobismo all'italiana da un miglio di distanza. Ma forse non è così. E' Daniel Handler, un per me perfetto sconosciuto del giro di Dave Eggers e della rivista di San Francisco The Believer. Snob perché le premesse ci sono tutte, ovviamente: il giro "quello buono" che fa pubblicare questa volta da Alet Edizioni le 282 pagine a ragionevoli 14 euro intitolate Avverbi. Comprato non tanto per il romanzo in sé (non ne avevo letto da nessuna parte, neanche sentito parlare alla lontana) quanto per i due classici criteri che fanno la gioia di qualsiasi redattore di casa editrice: la copertina (bella, fumettosa, è riuscita ad attirare l'attenzione) e il risvolto di copertina che comincia così:

Salve, sono David Handler, l'autore di questo libro. Lo sapevate che spesso sono gli autori a scrivere le sinossi che compaiono sulle copertine dei libri? Magari ve ne ricorderete la prossima volta che leggerete frasi del tipo: "Un libro sensazionale che si divora tutto d'un fiato. Un romanzo che ci mostra un narratore universalmente acclamato all'apice delle sue straordinarie capacità".

(Lo sapevamo in qualità di Giovane Autore, ovviamente). Ecco, speriamo che Hadler mantenga la promessa implicita e riesca anche nel passo medio delle sue 282 pagine di romanzo a tenere il ritmo. Eggers, in vena di marchette riprese in quarta di copertina, invece lo paragona sobriamente a Nabokov. Il romanzo parrebbe invece essere relativo a "un gruppo di persone che si innamorano e disamorano dei vari tipi d'amore". Cioè un romanzo sull'amore. Il che, soprattutto d'estate, in realtà lo rende di per sé un romanzo interessante. Segue, dopo lettura (magari entro i prossimi 18 mesi) un'attenta disanima o quantomeno risposta al quesito iniziale: il libro manterrà le promesse fatte?

Il terzo pezzo è sulla Cina, l'India, il continente asiatico così lontano e così vicino, l'impero di mezzo che bla bla bla, la ruota del karma che bla bla bla e quindi è ineludibile che noi bla bla bla, considerando anche che io a Milano abito a Chinatown dove ogni giorno bla bla bla ma non sopporto il ristorante indiano bla bla bla dove invece le ragazze vogliono sempre bla bla bla.

In particolare, questo Il Dragone e l'Elefante, ovvero (sottotitolo) La Cina, L'India e il nuovo ordine mondiale, è bla bla bla. Peraltro, il suo autore, cioè David Smith (che bla bla bla si è prodigato per 324 pagine edite da Il Sole 24 Ore editore [cioè il MIO editore!] ed è il caporedattore del Sunday Times e ha pubblicato nel 2005 Free Lunch e scrive spessissimo bla bla bla), mi piace (?) senza considerare che bla bla bla. Ecco: il libro non l'ho letto ma il dragone e l'elefante in copertina sono molto belli. E' uno di quei libri che vorrei e in un certo senso dovrei leggere. Se non altro perché nel 2006 i due paesi (la Cina e l'India, intendo), con una mossa altamente simbolica - ma non solo - hanno riaperto la Via della Seta che bla bla bla. Non vi pare anche a voi?