24.6.07

Visto che ho preso l'abbrivio...

PROBABILMENTE E' PERCHE' ho tempo solo la domenica nel tardo pomeriggio (quando in realtà dovrei fare altre cose che non ho fatto la settimana precedente, ma vabbé). Comunque, seguendo anche il post precedente, ho un'altra riflessione che mi sta frullando tra quei quattro neuroni che ancora funzionano.

Si tratta delle playlist. Ci stiamo tutti quanti appiattendo sull'idea che con il Cd prima, l'Mp3 dopo e infine l'iPod siamo entrati nell'era destrutturata delle liste, dello shuffle (rimescolamento) delle pillole, della cultura a forma di snack, da consumare a pezzettini e un po' per volta. YouTube e altre cose (tra le quali i post dei blog, che sono la frammentazione anche temporale oltre che mentale eletta a sistema, senza contare le micro-interruzioni sistematiche di email, sms, IM, telefono e via dicendo). Ma non sono per niente di questa opinione, mi scopro a pensare. Il motivo nono è perché non uso l'iPod e non ascolto musica dal computer. Magari è perché preferisco ascoltare la radio. Così come preferisco leggere libri che guardare la televisione o vedermi un'intera stagione di un telefilm in un pomeriggio (o due giorni, a seconda del formato) piuttosto che seguire percorsi schizoidi. Torniamo alle playlist e allo shuffle dell'iPod, dato che questo discorso ha decisamente un senso.

C'è da dire infatti che le percezioni dipendono in buona parte dalla cultura delle persone, che è generazionale. Qui a dettare il paradigma e a far notare l'evoluzione sono i baby boomers, i "vecchi" che sono nati - per quanto riguarda la cultura pop - con il rock e il pop degli anni Settanta. Insomma, quelli che prevedono un'unitarietà dell'opera che rispecchia poi le intenzioni presunte dell'autore (ma c'è un cinquantennio di semiotica che si potrebbe opporre a questo tipo di riflessione) e hanno scolpito nel cervelletto l'idea di "opera chiusa" (ma è un traslato da un altro piano, si tratta di una notevole forma di ignoranza culturale) e soprattutto di Lp inteso come "libro". Un disco non è un libro, ovviamente, né sul piano del senso né (scusate la banalità) su quello dell'esperienza. Non foss'altro perché la fruizione è totalmente passiva e richiede una decodifica più elementare e istintiva della pagina scritta.

E poi, questo è il mio punto, in realtà la frammentazione era iniziata ben prima che Nick Hornby parlasse (straordinariamente, peraltro: io lo adoro) di liste ad alta fedeltà e che poi il discorso si arricchisse con la frammentazione e randomizzazione (brutta parola, ma "casualizzazione" è pure peggio) dello shuffle dell'iPod. Certo, la quantità fa la sua bella figura e avere 90 mila canzoni che vengono suonate a caso è un bel passo avanti rispetto alle due in un 45 giri, però non sottovalutate la radio. La discoteca infinita - perché di questo stiamo parlando, di una libreria più simile a un racconto di Borges che non di frammentazione di un bel niente - non è quella che ci portiamo dietro nella tasca. Quella è una versione in sedicesimo, un modellino concettuale di qualcosa che già esisteva, con tutte altre motivazioni.

Infatti, anche se scarichiamo a casaccio per riempire gli 80 Gigabyte di un iPod, se non altro da un punto di vista di principio già sappiamo cosa abbiamo scaricato (magari non lo conosciamo, ma lo sappiamo). La nostra discoteca infinita è in realtà figlia di un senso finito che oltretutto abbiamo contribuito noi stessi a costruire. Quella discoteca di chi sta dall'altra parte dell'etere a mettere su musica, no: quella non la sappiamo. E' infinita nel senso progressivo dello scorrere del tempo: non possiamo neanche pensare di prevederla e dobbiamo viverla nella sua frammentarietà amplificata dalla possibilità di cambiare frequenza e stazione. Questo il punto: la frammentazione non c'è, o se c'è non è per niente opera dell'oggi, tantomeno del digitale. Casomai, oggi sta accelerando. Non ci prendiamo in giro e non appiccichiamo all'etichetta di "futuro" qualsiasi cosa ci pare stia capitando oggi. Altrimenti bariamo.

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