24.11.05

Lost in translation

IN ITALIANO OVVIAMENTE non funziona. Perché quando si costruisce un'intera rivoluzione su di un gioco di parole, qualcosa si perde sempre nella traduzione. Per noi, chi è libero è libero, mentre quel che è gratis è gratis.

Non ce ne rendiamo conto, ma dobbiamo questi due concetti alquanto differenti a due eredità linguistiche diverse: gratis arriva dal latino, libero invece è passato prima dal francese
livre. In inglese, c'è solo "free", che fa il doppio lavoro: libero (come in "freedom", libertà) e gratis (come "free beer", la birra gratis).

Su questa omonimia, "pun" per gli anglosassoni e paronomasia per i linguisti, l'alfiere del nuovo ordine tecnologico Richard Stallman ci ha costruito una rivoluzione. Free software, il software libero che, volendo, è anche il software gratis. E' il desiderio di costruire un bazaar del codice, in cui tutti possano scambiare informazioni, fuori dalle cattedrali delle multinazionali tecnologiche.

Per capitalisti di ventura e aziende in cerca di nuove opportunità, però, il codice "free" è troppo: la parola non piace ai consigli di amministrazione. Ci pensa Bruce Perens, che conia una definizione più allettante: open source, il codice sorgente aperto, visibile e modificabile da tutti. Perfetto.

Ma se è "open", come si tutela il diritto di riproduzione? Stallman, incorreggibile, si era già inventato un altro gioco di parole: se copyright è il diritto di copia, lui lancia il copyleft, il diritto di lasciar copiare. Cioè, la direzione opposta rispetto alle consuetudini della proprietà intellettuale; si svolta a sinistra e non a destra.

In italiano? Lost in translation: ovviamente non funziona.

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