20.7.05

Le ragioni di un disagio

ALCUNE NOTE SPARSE: pochi giorni fa uno dei miei più cari amici dava in pasto alla rete questa sua intima dimensione; contestualmente, ho chiacchierato per telefono con la direttrice di un carcere calabrese, che mi segnalava - obiter dictum - l'aumentare delle carcerate "madri di famiglia", vale a dire normali donne che un giorno ammazzano il marito/compagno/fidanzato. Accade anche il contrario, sempre più di frequente, ma alcune notizie circolano più di altre: talune divengono presupposto per ragionamenti, altre no.

Inoltre, la politica italiana ha ripreso a girare attorno al suo vero retaggio storico: i tre secoli di melodramma che caratterizzano l'animo italiano - alla faccia di Severgnini e delle sue costruzioni stereotipiche sul genere nostrano. I carichi di lavoro non diminuiscono ma aumentano sempre, i consumi fanno il contrario e la percezione di essere pagati in lire ma di avere tutte le spese in euro si fa certezza ogni giorno di più. Si ha paura a prendere la metropolitana, si teme il diverso, il differente, il ricco e lo straniero.

Un collega blogger a cui ho scritto stamane mi ha strappato una confessione: la sfiducia nel sistema bancario. Pensare ai mutui per le case - mercato obmubilato da una bolla speculativa di dimensioni planetarie - che vengono concesse solo ai dipendenti e non ai flessibili, dopo che le politiche economiche del Paese hanno rivolto la prua verso il precariato come stato dell'arte lavorativa, e penso che sia una politica quantomeno incivile se non criminale, corrotta e colpevole.

La generazione di idioti, della quale mi pregio di essere un idealtipico rappresentante, sta arrancando. Su questo sto cercando di costruire un discorso articolato lavorando a cantiere aperto su questo blog (il post sulle generazioni, la riflessione sui generi, la ricerca di temi caratterizzanti l'identità, il consumo mediale) ma la meta è elusiva. Soprattutto perché variabili insospettabili o non cartografate paiono avere un aspetto rilevante.

Certo, la percezione del singolo è sempre legata alla sua esperienza personale e alla congiuntura. Per esempio, nel mondo dell'università la mia percezione è totalmente autoriflessiva e per niente strategica. Però, qualche briciolo di strategia si intravede, dietro le cortine dei disagi personali.

Perché disagi? Perché pare essere questo lo stigma del nostro tempo. Un ennuì di sofferenza, di problematiche, di ricerca epicurea del piacere per cancellare il piccolo dolore. Una fitta al torace fa tremare i fumatori che immaginano la bestia innominabile accucciata nel loro petto. Una gravidanza altrui diventa misura del senso di inadeguatezza alla vita. Le più elementari operazioni del vivere sociale (pagare una bolletta? acquistare un motorino? intraprendere un nuovo affitto?) somigliano a percorsi di guerra, in cui nella normalità cialtrona della gestione si intravede sempre dietro l'ansia di un fallimento spettacolare.

Senso di vergogna che si diffonde? Fine sfortunata dell'età della spensieratezza? Mancanza di grip con il reale e mutamento dei presupposti interiorizzati nei vent'anni oggi passati e vissuti in un mondo e in una società radicalmente cambiata, ma in maniera subdola e sottile, senza "crack" sociali avvertibili?

Leggere Pompei di Harris poche ore prima di una tormenta di vento e pioggia che ha piegato gli alberi (e regalato un'immagine affascinante: un uccello nero, forse un corvo o un piccione, che per pochi secondi era immobile sospeso davanti alla finestra mentre lottava disperato contro il vento e poi in un attimo è scomparso travolto dagli elementi impazziti) apre scenari differenti: filtri. Filtri e lenti che ridisegnano il mondo, continuamente. E che appartengono a una serie di fabbriche del sapere attive giorno e notte, che girano in maniera furibonda, espellendo feroci output che distorcono il mondo attorno a noi.

Ragazzi, ho passato gli ultimi quindici anni a fare un mestiere a tempo pieno che consiste nell'essere curioso, scrutare l'orizzonte, fiutare l'aria, percepire il cambiamento. Sento odore di bruciato: temo che siamo noi, che si stia andando a fuoco. Non è una sensazione personale (anzi, sto attraversando un periodo particolarmente ignifugo della mia vita) ma diffusa. La generazione di idioti avrà tra le sue corde l'attitudine al coraggio? Siamo pompieri, eroi, architetti capaci di bloccare le fiamme e costruire un nuovo pezzo di domani?

Le ragioni per un disagio profondo, sofferto, velenoso e sotterraneo ci sono tute, a me pare. Se mi accompagnerete, cercheremo di scrutare meglio...

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