16.7.05

Il dono della pesantezza

CI SONO QUELLI che, lo capisci subito, quando scrivono hanno un dono. Non è una questione di eleganza, di stile, di forma del ragionare o di chissà cosa d'altro. Hanno un dono differente, quello della leggerezza. Un dono che non ci si può dare: o lo si ha, oppure no. E' una particolare inclinazione del talento della scrittura. Poi, si sa, lo scrivere è solo un uno per cento di ispirazione, tutto il resto è sudore e fatica. Quelli sono sudore e fatica dedicati alla leggerezza, e vincono un premio che è lo stupore e la facilità con la quale li si legge. Sempre leggeri, frizzanti, aerei, si bevono d'un fiato, gli si perdona molto (logica, nitore delle argomentazioni, passaggi e forma) perché molto danno: rigenerano, rinfrescano, intrattengono, divertono.

Poi, ma nessuno che lo riconosca come un dono e ne tessa le lodi, ci sono coloro i quali hanno fatto arte della pesantezza. Un dono raro, importante, anche significativo (in termini di ingombro ed effetti tangibili sul reale), troppo spesso tralasciato dalla critica attenta e militante. Chi ha il dono della pesantezza non necessariamente scrive cose intelligenti o che lasciano il segno. Il più delle volte argomenta come un capricorno: a testa bassa, diritto per la sua strada. Eppure il lavoro di questi sistematici del pensiero, di questi macinatori della parola, è altrettanto importante di quello degli aerei intrattenitori che giocano di fioretto. Sfondare la loro pagina, entrare nel loro mondo è un rito di passaggio, una iniziazione a fasi ulteriori della lettura, del pensare e forse anche della complessiva esperienza umana. Sciropparsi tutto un pesante vale mille leggeri: vuol dire essere diventati adulti, avere la passione della lettura e non solo una frequentazione occasionale con lei, probabilmente l'oculista potrebbe suggerire anche delle belle lenti da riposo, perché sotto l'ombrellone si legge, mica si perde tempo. I pesanti, a seguirli, ti sanno anche stupire e poi è difficile farne a meno.

C'è altro, però. Anche i pensati, non illudiamoci, sono manchevoli. Come tutti: logica, nitore delle argomentazioni, passaggi e forma. Scrivere in bella forma, per chilometri di pagine o per poche saporite righe, non vuol dire necessariamente avere doti superiori di intelletto, né nell'una che nell'altra delle forme. Non c'è attività più codificata che lo scrivere per ingannare il prossimo. Film, radio, televisione, teatro, orazioni in piazza son tutte attività che inducono all'abbandono estatico ma - sotto sotto - anche al sospetto. Non sono naturali, oppure lo sono troppo.

Leggere introduce invece al rispetto e al timore, porta a forti sottovalutazioni o terribili sopravvalutazioni. La scrittura scende più in profondità perché richiede slancio, apertura del lettore, un intenso e attivo lavoro di decodifica. A leggere ci si rovina con le proprie mani, si gettano gli schermi dietro e si scava a mano nuda nella terra. Se poi qualcosa ci pungerà, oppure ci bacerà, lo scopriremo solo scavando.

Evviva i pesanti, allora. Che fanno il loro mestiere con identica passione dei leggeri, ma non vengono apprezzati. Sono necessari, hanno le stesse colpe e gli stessi meriti ma sono vilipesi e spesso bruciati sul rogo da facili tribunali. Chi è leggero avvicina, chi è pesante, affatica. Entrambi, però, cambiano il lettore, cercando di dargli qualcosa. Allora come mai, solo perché sono brutti, non se li sposa nessuno, questi poveri pesanti?

Diamogli premi, diamogli un'Italia che li ami, diamogli di nuovo cittadinanza, rendiamogli gli onori dei combattenti, a questi fanti della parola, portiamoli sulle spalle attraverso i bei archi delle nostre città, quando non sapranno più camminare con le loro gambe perché vinti dalla fatica del lavoro di penna. Diamo loro un sogno, facciamoli parte delle nostre vite con onestà, senza nasconderli come retropensieri svilenti e sfortunati. Anche loro mangiano, dormono, amano, scrivono. Sono solo pesanti, hanno scelto la via lunga, impervia, in salita, faticosa, per raggiungere la medesima meta dei leggeri, di quelli brillanti, carismatici, opportuni e sempre attenti a come fischiano soavi gli zefiri. Loro no, i pesanti sono come locomotive che seguono il loro binario, insensibili agli elementi, alle fughe, alle scorciatoie e alla fatica. Sicuri solo del loro percorso. Diamo loro il posto che spetta a chi lotta, generoso e pesante. Sorridiamo loro, anche una volta sola: basterà a premiarli per una vita di fatiche.

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