11.11.04

Quel sottile piacere che solo Barcellona...

LA CHIAMANO LA Milano di Spagna, perché a Barcellona, oltre a parlare catalano e ad esserci un gran mare, la gente lavora sodo. Certo, c'è Madrid, ci sono un sacco di altri posti, c'è persino Ibiza - da qualche parte nella penisola iberica - ma Barcellona, Barcellona...

Innanzitutto è terra incontaminata, perché Almodovar ancora non è andato lì a girarci dei film, a quanto mi risulta. Poi, perché somiglia un po' all'Italia degli anni Settanta, con i tassisti che hanno l'auto lercia e le macchine sfigate che si mescolano alle Mercedes da 120 mila euro. I viali son più larghi ma i tram sono brutti come quelli nostri, in compenso le sigarette costano 2,60 euro anziché 3,50. La sensazione, alla fine, è che sembra di stare più in un duty-free che non in una città. Sono piccole cose, ma alla lunga scopri che contano anche queste.

Le ragazze? Carine, alcune bellocce, altre (parecchie) da urlo. E soprattutto, si difendono bene quanto le italiane. L'architettura? Frutto di vari incidenti temporali, degni di un episodio di Star Trek o di qualche errore della matrice: Gaudì lo citano tutti, forse perché piace "La Sagrada Famìlia" edizione cattedrale incompiuta oppure quella di Alan Parsons Project su Cd e Dvd Emi. Io propendo per la seconda. In compenso, nei ristoranti quando ti siedi puoi parlare italiano, loro catalano, ed è come se all'improvviso ti rendessi conto che quel deficiente del tuo amico che ti diceva: "Vai tranquillo in Spagna, che con loro ci si capisce al volo, siamo tutti latini figli di Roma" è veramente un gran testa di pinolo.

Come suona il catalano? Qui i casi sono due: o masticano tutti tabacco oppure sono affetti da laringite cronica. Emettono suoni degni di un siderurgico che espettora prima di rientrare a casa per cena. La silicosi dev'essere un'abito mentale catalano. In confronto il bergamasco è la lingua romantica da usare con le donne.

Io a Barcellona ci sono andato per partecipare a una conferenza sulla sicurezza informatica. Tema avvincente (sigh). Ecco cos'ho capito:

L'orario di punta, come avrebbero dovuto spiegare agli americani della società che ha organizzato l'evento, è quella che hanno scelto per farci partire con il pullman la sera alla volta dei ristoranti. Semplice e banale, tanto che ci potevi rimettere l'orologio come facevano nel paesino dove passeggiava il pomeriggio Kant. E il traffico di Barcellona è uno stato della mente e dell'esperienza che chi non ha letto Sartre non può capire.

Ma, signore mie, la cosa bella, anzi bellissima, è un'altra. Lo stato mentale di quel circo ambulante che sono le conferenze internazionali di tecnologia. Un mix di giornalisti, clienti, analisti e personale d'azienda un po' eropeo e un po' statunitense. La fine della civiltà per come la conosciamo, l'inizio dell'abominio.

Innanzitutto perché gli americani hanno due obblighi nella loro vita professionale: essere di buon umore (comunicandotelo ogni trenta secondi) e indossare con orgoglio la sfigata camicia aziendale, quella unisex (nel senso che è di foggia maschile ma la danno anche alle donne) con lo stemmino della compagnia sopra il taschino e la scrittona dietro. Sembrano tanti meccanici della Ferrari che non hanno fatto in tempo a cambiarsi quando sono usciti dal circuito. Tristissimi.

Ma non sono loro i protagonisti. I veri protagonisti siamo noi, i giornalisti. Che, a differenza di analisti e clienti, ci possiamo vestire come ci pare. E quindi ci vestiamo male. Male? Alla cazzo di cane, se mi perdonate il francesismo. Perché molti colleghi o sembrano degli scherzi di natura, con il fisico da nanetto rachitico, oppure eccedono il quintale di un buon paio di terzi. Nel primo caso si mettono improbabili maglioni o giacche-maglione (non trovo altro modo per definirli, credo che unicamente i cardigan di Nino Manfredi avrebbero potuto rendere l'idea, se solo lui avesse sviluppato l'abitudine di dormire vestito), nel secondo sono in magliettina felici a meno cinque gradi. Tanto, l'adipe coibenta, quindi chissenefrega.

Perché, dite voi, a Barcellona ci sono meno cinque gradi? No, ovviamente, almeno non negli ultimi dodicimila anni, da quando cioè è finita l'ultima era glaciale. Ma siccome per uno statunitense medio i massimi segnali di lusso e comfort sono la presenza di quintali di ghiaccio nei secchielli e l'aria condizionata tarata per un pubblico di pinguini smanianti, capirete anche perché io tenga il cappotto e il cappello durante le sessioni plenarie. Tira una bora che neanche a Trieste, mentre loro stanno lì, stolidi, sotto gli elementi (artificiali) che imperversano.

Si dicono cose interessanti, almeno, a Barcellona? Non lo so. Vi dico quel che ho visto io, invece: l'aeroporto, il taxi, la camera d'albergo, la sala delle conferenze (sempre in albergo), la sala stampa (accanto a quella delle conferenze), il pullman, il ristorante... Però durante l'evento (sì, li chiamano così: eventi) di cose interessanti se ne dicono. Soprattutto quando c'è l'incontro con il mega-boss dell'azienda, un italiano di terza generazione in verità amabile, che ti riceve nella suite al diciottesimo piano per il tuo slot di intervista di 25 minuti, preceduti da una chiacchierata chill-out con la sua attempata segretaria personale sotto la scorta della pierre inglese. Pezzo di figliola, quest'ultima, di meno di trent'anni: lei sì che sarebbe da frequentare, se solo non avesse l'accento di un manovale di Liverpool e un'insana passione per le vacanze zaino in spalla nell'Outback australiano.

Di cose però se ne apprendono. Ad esempio, che loro, quelli dell'azienda, vivono tutti nell'area di Boston. Già te li vedi la sera andare nel barrettino di Cheers, dove dietro al bancone c'è Ted Danson, tutti conoscono il tuo nome e sei felice perché i tuoi problemi ce li hanno anche gli altri. Macché. Vilino residenziale nel New Hampshire e poca voglia di socializzare con i Latinos (che saremmo noi).

Sono strani questi americani, verrebbe da dire. Mi sono interrogato sull'argomento e ho cercato di osservare, appuntando qualche considerazione sul mio notes. Che ripropongo qui:

Gli americani, sul lavoro, sembrano sempre un po' bolliti. Ma hanno il dono della sintesi, frutto di anni di laboriosi uso del rasoio di Ockham, probabilmente. Quindi, niente da fare. Ti dicono proprio le cose essenziali. E l'approccio delle interviste alla "Ottoemezzo" di Giuliano Ferrara non paga, se le domande eccedono i quindici secondi. Però se ti sei preparato e chiedi cose che abbiano senso in maniera un po' originale, si sentono tanto gratificati. Perché hanno studiato il materiale del marketing su come si deve posizionare il prodotto, quello dei commerciali sulle debollezze e i punti di forza nel mercato, quello del finance su come la cosa possa o stia performando, quello della comunicazione su quale sia il taglio profilato del giornalista (tu), della sua testata, delle precedenti interviste fatte all'azienda e dell'output in termini di articoli positivi/negativi. Si sono anche allenati a dire cose incisive e chiare, che possano colpire e allo stesso tempo informare il giornalista medio e te in particolare. Quindi, loro si sono fatti il culo. E se percepiscono che te lo sei fatto anche tu e che l'incontro sta dando un po' di spettacolo, pensano che lo sforzo sia valso la pena.

Aggiungo, per completezza, che quando lavoravo a Firenze in una radio di sinistra la questura aveva un faldone meno pesante su di me, rispetto al dossier preparato dal loro ufficio di comunicazione. Son pronto a scommetterci.

L'approccio delle P.R., i piccoli rottweiller che ti seguono durante il viaggio - ma non chiamatele "escort" perché sennò sembra che di lavoro facciano le mignotte - differisce logicamente a seconda che siano italiane o straniere. Le prime, a parte alcune lodevoli eccezioni, sono giovani (tendenzialmente donne, ma anche uomini) con meno di trent'anni esaltate all'idea di portare il giornalista a giro. Oppure tristi figure con più di trent'anni scoglionate all'idea di portare il giornalista a giro. Quelli inglesi, tedeschi e francesi sono sempre sotto i trenta e relativamente esaltati di portare il giornalista a giro. Se sono donne, hanno di default la coscia lunga. Altri modelli fanno eccezione e meritano approfondimento.

In generale, con i pierre stranieri - soprattutto quelli americani - è praticamente impossibile fare un discorso che non sia legato al lavoro durante le ore diurne. Ma è anche corretto, dato che dopotutto siamo lì per lavorare, no?

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